Castello Giusso |
Vico Equense - Il castello è da sempre, per antonomasia, il luogo dei fantasmi e anche il castello Giusso di Vico ne ha uno famoso, quello della Regina Giovanna detta la Pazza. Il castello Giusso, fortezza nata per volere di Carlo II d’Angiò alla fine del XIII secolo per difendere la città, l’ho conosciuto in un’estate di tanti anni fa, quando un amico di famiglia ci invitò a trascorrere qualche giorno nella sua suite, con terrazza sul mare e panorama incantevole. Giravo per le stanze, con la testa rivolta al soffitto, guardando gli arredi, i tendaggi, le ampie sale, mi affacciavo da varie parti per controllarne la vista, immaginando la vita di una volta. Una situazione particolarmente inquietante fu quella di aver visto dal terrazzo della stanza cui alloggiavamo, lo strapiombo che cadeva a picco sulla scogliera e sotto il mare che ruggiva. Mi vennero in mente “Il castello d’Otranto”di Horace Walpole e le caratteristiche del romanzo gotico, con paesaggi tetri, castelli diroccati e presenze inquietanti, catapultandomi in atmosfere preromantiche che tanto avevano alimentato la mia fantasia. Giovanna La Pazza, regina di Napoli, annoverò un gran numero di amanti che venivano puntualmente uccisi dopo essersi congiunti con lei. Nelle notti d’agosto, come un’anima inquieta, vaga da un punto all’altro del castello minando la pace degli abitanti con i suoi lamenti, con le urla degli amanti uccisi come se si ripetesse il macabro rituale di allora. Il concetto di “anima in pena” è una definizione del tutto romantica in perfetta sintonia con il mistero e la storia, la concezione tragica della vita, della religione capace di cogliere gli aspetti trascendenti e infiniti della vita. La Bibbia spiega che vi sono spiriti con i quali possiamo venire in contatto e che possono apparire sulla terra sotto forma di angeli o demoni.
Allo stesso tempo si afferma che l’uomo muore una sola volta, dopo di che viene il giudizio (Ebrei: 9,27). Nel tempo la Chiesa ha dovuto arginare tutti quegli aspetti confinanti tra la vita e la morte che assumevano le caratteristiche dello spiritismo. E in queste intermediazioni varie di stampo soprattutto medievale che si continua a credere che un fantasma sia “un’anima in pena” e che non riesca a continuare il suo percorso per la pace eterna. Resta attaccata alla vita se la morte la strappa ad essa violentemente. Uno strazio se pensiamo che con la morte l’anima dovrebbe acquietarsi, mentre in questi casi si scatena il suo inferno. Forse è la sua inappagata vita, le troppe ambizioni, che Giovanna la Pazza visse ai limiti del possibile da viva e la si vuole un’anima agitata anche dopo la morte. Che il castello sia abitato da questa presenza è risaputo e non solo per l’inquietudine della defunta ma anche per appagare l’animo degli abitanti che non riescono a staccarsi da questa storia così misteriosa. Sapere l’anima in pena come fio da scontare, ne affievolisce un po’ l’ immagine di insaziabile cacciatrice di uomini. Siamo rimasti, nel nostro immaginario, alle concezioni medievali dantesche che ci vedono, dopo la morte, in un percorso di riabilitazione al bene per poter accedere al paradiso. E a questo proposito non si spiega come un fantasma possa albergare in eterno nei luoghi in cui ha vissuto da vivo. Quanto tempo vivrà in quel luogo un fantasma prima di poter procedere il percorso di luce cui siamo chiamati tutti? Realtà, fantasia, storia e religione si fondono perfettamente forse più a sfamare la nostra sete di giustizia e di immaginazione che di fatti confutati e avvalorati da più parti. Nel castello Giusso si respira ancora questa storia che non è passata via e che gli conferisce un’aria di mistero. Conoscere la storia non basta a liberarci di credenze o altro. A volte la storia assume i risvolti che le vogliamo dare e non dimentichiamo che essa è scritta dai vincitori lasciando in ombra altri aspetti. I detrattori di Giovanna La Pazza la vogliono una mangiatrice di uomini, macchiata di tante innocenti vite, dissoluta, viziosa e donna squilibrata. Una storia di donna quella di Giovanna per certi versi troppo moderna per la sua epoca e la sua modernità è nascosta nel fatto di doversi misurare con azioni di vita proprie del mondo maschile. Donna sola al potere, inesperta e con un regno in condizioni precarie, accerchiata da uomini furbi e pronti a toglierle tutto, uomini con cui misurarsi e dove l’unico punto di incontro poteva essere solo l’amore, diventato a questo punto malato e degenerato solo in sesso. Questa tesi è una lettura della sua vita un po’ più vicina al nostro tempo, che le dà un aspetto più umano e meno efferato, ciò non toglie le colpe di cui si macchiò con la morte di tutti i suoi amanti. L’aspetto macabro non può essere cancellato e mentre si prova umanità per la sua solitudine di donna, non si può accettare una donna cacciatrice, mangiatrice e assassina di uomini. Fino ad allora il delitto e il diritto di uccidere era appannaggio di uomini che in nome della ragion di Stato erano pronti a tutto. Conosciamo bene i passi del Principe di Machiavelli dove si afferma che “il fine giustifica i mezzi” ed eravamo abituati alle efferatezze del mondo maschile. Lo stesso Cesare Borgia, a cui si riferisce Machiavelli nella sua opera “Il Principe”, era avvezzo alla morte dei suoi avversari, come unico strumento per governare. Ma la pazzia di cui sono accusate le donne della famiglia spagnola, per i vari rami dinastici di cui essa è formata, sembra una maledizione da avvicinare più a interessi politici che vera e propria malattia. Anche la storia ha bisogno delle sue tesi per avvalorare, giustificare quello che non si può o deve capire, tanto più se i protagonisti si prestano e possono offrire spunti interessanti per le sorti che si vogliono dare loro. Se andassimo a scavare nella vita della regina, con un taglio più prettamente psicologico, vedremmo tutta la sua sofferenza sin dall’inizio della sua vita, fatta di compromessi, paure e lotte e forse la pazzia, alla fine , più che renderla reietta le dà pace, un’isola in cui confinarsi, l’unica possibile a tutto quello che aveva dovuto assistere e mettere in atto per governare un regno.
Filomena Baratto* è nata a Vico Equense (Na). È laureata in Lettere Moderne all’Università Federico II di Napoli e insegna nella Scuola Primaria da 29 anni. Sin da piccola ha manifestato una spiccata propensione per l’arte, a cominciare dalla pittura, talento a cui si aggiunge anche la musica con lo studio del pianoforte. A queste sue passioni unisce anche la scrittura. Inizia a pubblicare nel 2010 in seguito a un evento familiare che la scuote profondamente e che le dà la spinta a pubblicare la raccolta di liriche Ritorno nei prati di Avigliano, Alberti Editori. Segue poi, nel 2012, il romanzo Rosella edito da Sangel Edizioni e ancora la raccolta di racconti Sotto le stelle d’agosto, Graus Editore nel 2013.
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