Antonio Bassolino a Vico Equense |
Si candida, non si candida? Ovvero (forse più precisamente): sarà candidato, non lo sarà? Certo c'è ancora tempo, ma la vicenda del futuro elettorale di Antonio Bassolino - la sua eventuale rinascita, ovvero la decisione di abbandonare definitivamente la scena politica, per ritagliarsi eventualmente un ruolo più appartato - costituisce uno dei più grossi interrogativi e, insieme, uno dei "casi" più significativi e illuminanti della stagione che stiamo vivendo. Davanti a Bassolino ci sono diversi passaggi inevitabili. I posti a disposizione non sono certo numerosissimi, e una sua candidatura nelle file di Liberi e Uguali deve necessariamente uniformarsi alle delicate esigenze di dosaggio delle componenti interne: innanzitutto quelle degli ex Pd (inclusi quelli che erano stati candidati la volta scorsa), poi gli ex Si, e poi le nuove presenze più direttamente ascrivibili al presidente del Senato e capolista Pietro Grasso, nonché, infine, la possibile sponda arancione, che al momento è la più avversa all'ex governatore. Bassolino, ufficialmente, non si è ancora fatto avanti, ed è probabile che sia in attesa di un segnale o di una chiamata: magari da Bersani, visto che, dato il suo strettissimo rapporto con Paolucci e, anche per questo tramite, con D'Alema, non è pensabile che da parte dell'ex presidente del consiglio pesino veti su una sua candidatura. Questa benedetta chiamata potrebbe togliere di mezzo i dubbi e i mal di pancia di chi, dentro LeU o negli immediati dintorni, considera "divisivo" il suo nome e ritiene dunque che si debba rinunciare alla sua capacità di attrarre voti, per notevole che possa ancora essere.
Una caratteristica peculiare della fase che Bassolino sta attraversando sta dunque proprio in questa sospensione, in questa incertezza indotta dai tempi lunghi dell'attesa. Come nel teatro dell'assurdo, l'uomo aspetta, e non è detto che ciò che sta aspettando alla fine arriverà. Del resto è già successo con le elezioni amministrative. In quel caso, Bassolino aveva rotto gli indugi e si era proposto come candidato sindaco del Pd. Da militante (anzi, per dirla più precisamente: da fondatore) rispettoso dei protocolli di partito, si era poi disciplinatamente messo in attesa di una telefonata di Renzi. Ma sappiamo come andarono le cose: Renzi non fece nessuna telefonata. E se si pone mente al modo catastrofico in cui andò quel voto, peraltro dopo che già nel corso della campagna elettorale era stata messa a nudo la condizione pre-agonica del partito a Napoli, si può senz'altro dire che Renzi sbagliò i conti. Ora, per quanto possa essere dura la scorza di un politico navigato come lui, suppongo che in questo momento Bassolino stia contemplando la situazione con un certo nervosismo. Domandandosi magari se anche dalle parti di LeU non disporre di un curriculum sia ormai diventato un vantaggio, perché a venire da lontano si rischia sempre più facilmente la rottamazione. Non si vuole nè si può dire che Bassolino appartenga irrimediabilmente al passato: se questo fosse vero per lui (che oltretutto e uscito pulito dalle insidiose inchieste sulla crisi dei rifiuti), lo sarebbe a maggior ragione per moltissimi altri, anche più giovani di lui, e praticamente in tutto l'arco parlamentare. Tutta via c'è, nell'ostinazione della sua coerenza, e nei modo in cui egli ha sempre inteso la dialettica interna e la prassi politica nei partiti di cui ha fatto parte, qualcosa che fatalmente ne fa una specie di «alieno» rispetto ai protagonisti della politica odierna: un solitario fedele alla scuola del dibattito e della mediazione, un «io» che è sempre stato parte di un «noi». Forse la si dovrebbe considerare una virtù, ma sembra più probabile che passi per una debolezza.
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