Fonte: Ciriaco M. Viggiano da Il Mattino
Piano di Sorrento - I Comuni non possono porre limiti di spazio alle attività produttive, tranne nell’ipotesi in cui siano in pericolo la sicurezza, la salute, la libertà e la dignità umana. E questo vale anche per le norme contenute nel Piano regolatore generale. A ribadire il principio è stata la terza sezione del Tar della Campania, che ha condannato il Comune di Piano al termine di un braccio di ferro con un privato durato quasi un anno. La vicenda risale al 30 gennaio 2014, quando l’amministratore di una società con sede a Piano chiede allo Sportello unico comunale per le attività produttive il nullaosta per trasferire una struttura di vendita in un locale in via Bagnulo. Sulla questione l’ufficio tecnico esprime parere negativo e, il successivo 27 febbraio, anche il funzionario responsabile del Suap dice no. Motivo? L’articolo 30 del piano regolatore generale proibisce ai commercianti di utilizzare una superficie di vendita superiore ai cento metri quadrati in zona A6. Per intenderci, proprio quella in cui ricade la centralissima via Bagnulo. È l’inizio di un braccio di ferro giudiziario. Assistito dall’avvocato napoletano Alberto Vitale, l’esercente impugna il provvedimento del Comune davanti al Tar della Campania.
In giudizio vengono trascinati anche la Regione, che però sceglie di non costituirsi, e la Provincia con il presidente al quale spettava l’approvazione del Piano regolatore generale con un proprio decreto. Secondo il privato la norma urbanistica invocata dal Comune contrasta con il principio di liberalizzazione delle attività economiche sancito sia da alcune recenti leggi italiane sia dalla direttiva Bolkestein emanata nel 2006 dall’Unione europea. Presieduta dal magistrato Sabato Guadagno, la terza sezione del Tar avalla questa ricostruzione anche sulla base di due sentenze pronunciate dal Consiglio di Stato nel novembre 2013 e nel maggio 2014. «Le norme invocate sono espressione di un principio di effettiva liberalizzazione, derogabile solo se sussistono interessi pubblici di rango elevato – scrive nel provvedimento il giudice estensore Giuseppe Esposito – e le norme contrastanti sono incompatibili e da ritenersi abrogate». Ma non finisce qui. Oltre ad accogliere il ricorso proposto dal commerciante e ad annullare il provvedimento emesso dal responsabile del Suap, il collegio condanna il Comune di Piano, assistito in giudizio dall’avvocato Romina Pontecorvo, a pagare 2mila euro di spese di giudizio. Secondo i magistrati l’ente di piazza Cota non ha adeguato il Piano regolatore generale, adottato nel 1999 e approvato con decreto del Presidente della Provincia nel luglio 2006, alle norme che liberalizzano le professioni e le attività produttive. «La limitazione è inapplicabile, stante la prevalenza dei principi espressi dalla normativa europea e delle regole dettate dalla normativa interna – conclude la terza sezione del Tar della Campania – L’autorità amministrativa può impedire la loro concreta attuazione adducendo motivi ostativi contenuti nei propri strumenti di programmazione non più coerenti con il principio di libera apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura».
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