di Filomena Baratto
Il 36% degli italiani non ha votato alle elezioni del 25 settembre, causando un ulteriore crollo del 9% di astensionismo. Il fenomeno è una forma di protesta anche molto eloquente di un elettorato perso, convinto che andare a votare sia inutile e tutto già preordinato, che un partito non nasca all’improvviso e che le idee e i progetti vadano condivisi anzitempo. Quel rapporto stretto con l’elettorato di una volta oggi non c’è più. Anche la politica è qualcosa da consumare velocemente. Il confronto, l’ascolto, la necessità di operare in un certo modo sono azioni che restano nel passato. La vita politica si adegua ai ritmi di oggi diventando più concreta e flessibile alle esigenze, con un programma definito e a lungo termine ma poco realizzabile. La gente va informata e non solo coltivata e addomesticata per sottrarle il voto. Già da diverso tempo l’elettorato vota il leader del momento, quello capace di attirare l’attenzione e rappresentare gli umori e le esigenze dei cittadini. C’è poi una sorta di frattura tra i programmi redatti e il politico capace di porsi a difesa di quel programma. Allontanare gli elettori dalle urne è una grossa responsabilità politica. Il cittadino perde la fiducia nel prossimo, si mostra scettico sulle questioni importanti e avverte un senso di abbandono da parte delle istituzioni. Coerenza e serietà sono indispensabili ai fini del consenso elettorale che continua anche dopo le elezioni. Molto spesso, subito dopo, cominciano le delusioni che pongono le premesse per un futuro rigetto delle successive elezioni.
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