di Filomena BarattoStamattina sono andata all’ufficio anagrafe del Comune per il rinnovo della carta d’identità. Seduta ad attendere, mi facevano compagnia pensieri non proprio piacevoli per la testa. Ho preso in mano la vecchia tessera e guardavo la mia bella foto. Sembrava di averla rinnovata solo qualche giorno prima. Com’ero allegra quel giorno, con i capelli in ordine, col mio rossetto, una nuance che non riesco più a trovare, con la mia camicia blu di seta, la mia preferita, gli orecchini che non ho più, li hanno rubati…Mi sono rammaricata per non poter prendere la foto che lì avrebbero buttato. Il tempo passa senza chiederci il permesso mentre ci trasforma e ci toglie tutto, lasciandoci malanni, stanchezza e solitudine. Ma via, mi son detta, quante storie per una foto e una carta nuova. Non preoccuparti che il rossetto lo troviamo, che quando esci puoi andare a vedere se trovi quei cerchietti d’oro che ti piacciono, che quando vai a casa potrai bere un bel tè caldo. Con questi pensieri, giunto il mio turno, mi sono avvicinata allo sportello. Il ragazzo ha iniziato la procedura e mentre firmavo, ho pensato che invece del tè avrei preso il caffè, ne avevo proprio bisogno. Intanto che mi sbrigavo a consegnare la tessera e i soldi e a prendere le impronte digitali, l’impiegato mi ha chiesto: «Degli organi che cosa ne facciamo? Li espiantiamo o non li espiantiamo? O non si esprime in proposito?»
Ecco la domanda giusta per lo stato d’animo in cui mi trovavo. Mi chiedevo se fossi all’anagrafe o in macelleria. Sono d’accordo sull’amore per il prossimo, ma una domanda, così brutale, fatta in modo altrettanto brutale, mi ha rimandato a quanto poco valore ci diamo.
In un baleno ho pensato che se avessi dato il consenso, forse non aspetterebbero nemmeno la mia morte, saprebbero come fare a prelevare gli organi, e forse non servirebbe nemmeno il mio consenso. Dicono che sono fantasiosa, brava a costruire, ma questa è la realtà e sono sempre più convinta che la fantasia non sia altro che una realtà a una potenza infinita. Il ragazzo, mentre io mi arrovellavo mentalmente,
mi sollecitava: «Allora? Che cosa ne facciamo degli organi?» Mi è venuto di rispondere: «Per il momento sono miei, sono la legittima proprietaria, dopo la morte si vedrà!»
Sono domande da farsi a uno sportello, in fila, come se fossimo vitelli che vanno a morire? Si sono talmente appropriati delle nostre vite che non solo non c’è più privacy, ma siamo diventati anche tanti pezzi di ricambio. Va bene che siamo schedati, sanno tutto di noi, dal quoziente intellettivo, alle patologie, alle nostre compatibilità, abitudini, idee… E se in un baleno possiamo essere raggiunti e riconosciuti, non ci spieghiamo poi come facciano a schedare male un mafioso impiegando trent'anni per riacciuffarlo. Con queste domande per la testa, la fantasia galoppa e mi fa immaginare, che uscendo dall’ufficio, qualcuno m’investa, a conoscenza della mia deposizione, per un bisogno urgente di organi. La guerra non sempre è con le armi e, in nome del bene per il prossimo, si nascondono i peggiori crimini.
In una serie televisiva, uno dei personaggi, un mafioso, e anche medico, quando uccideva, trasportava le vittime nella sua clinica dove egli stesso espiantava loro tutti gli organi. Il paradosso era che, quando uccideva, subito dopo affermava che, era pur vero un assassino, ma dall’altro lato salvava la vita a un bel po’ di persone. Poi ignorava il modo violento di ammazzare, per ricordare quanto bene facesse all’umanità.
Questa non è fantascienza, ormai siamo nel futuro, sono cose che accadono. Mi chiedo se valga più la serenità della nostra vita, il riconoscimento dei nostri sentimenti o la salvezza di un’altra vita. Di sicuro vige la legge del più forte: chi può, si permette anche il pezzo di ricambio, a prescindere se ne avrà bisogno o meno, solo per la tranquillità di averlo all’occorrenza. Allo stesso tempo ci saranno quelli che dovranno attendere interminabili trafile per aspirare a un organo non sempre idoneo. Certe decisioni vanno prese in altre sedi, attengono alle volontà delle persone e richiedono rispetto e non vanno strappate a uno sportello come se ci stessero chiedendo il colore della tessera e non devono farci sentire mostri se poi diciamo no, se vogliono estorcere il nostro consenso. Di solito si è efficienti con i benefici da ricavare meno con i diritti da assicurare. Ormai siamo numeri, organi, voti, consensi, intelligenze, approvazioni, tutto tranne che persone da rispettare prima ancora di ogni altra considerazione o procedura.
1 commento:
Una bella riflessione e tante, forse troppe domande in una sola volta. Ma comunque, al di là di tutto, come ha risposto? Perchè probabilmente in questa sempre più bistrattata sanità pubblica, eventualmente, il più tardi possibile, un organo potrebbe aiutare chi non ha la possibilità economica di comprarselo. Lunga vita! NINO esposito
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