Partito spaccato in tre, l' ex leader va con il Pdl
Castellammare di Stabia - Secondo lei, la camorra esiste? «Bah, è una domanda alla quale non posso rispondere! Esiste, non esiste... io non la conosco!». Qui è stato l' ultimo segretario del Partito democratico, e ancora se lo ricordano, Gaetano Cimmino. Nella sua lista per le primarie infilò Catello Romano, poi arrestato come killer del consigliere comunale pd Gino Tommasino. In quei mesi, nel circolo storico di corso Vittorio Emanuele, acquistato ai tempi del Pci con le collette degli operai Fincantieri, approdò trionfalmente persino la nuora del boss D' Alessandro. «La lista non la feci solo io. Quel Catello? Mai visto», si spazientisce adesso Cimmino, molto preso dalla campagna elettorale: dal Pd è balzato nelle liste del Pdl per il Comune assieme a un drappello di assessori prima legati a Salvatore Vozza, il sindaco uscente, vendoliano. Trasformisti? «Ah, bisogna avere il coraggio di cambiare!», sostiene lui, serio. Per i democratici, Castellammare è una specie di laboratorio alla rovescia, ogni alambicco ha un mostro in gestazione, ogni giro di clessidra porta un nuovo guaio. Dopo la morte di Tommasino, il 3 febbraio 2009, e la scoperta che tra gli iscritti c' era il suo presunto assassino, la segreteria Cimmino fu azzerata e arrivò un commissario da Napoli, Paolo Persico, che s' inventò addirittura un giuramento anticamorra per il nuovo tesseramento («Qualche camorrista spergiuro si trova sempre», sorrise triste Ersilia Salvato, ex sindaco, che, sloggiata nel 2005 da Palazzo Farnese, aveva avvisato inascoltata Piero Fassino: «Ci sono strane presenze...»). Adesso, in quella che fu la Stalingrado del Sud, corso Vittorio Emanuele è diventato una specie di linea di confine. Tra tira e molla, giuramenti e promesse, le primarie per il candidato sindaco non si sono mai fatte. «Non sempre portano al meglio, pensi a quelle per la segreteria!», allarga le braccia Sandro Turcio, coordinatore della campagna elettorale. Così, il 28 e 29, Vozza si ricandida dopo aver ripetuto (e scritto) fino all' ultimo di non volerlo fare: il Pd lo appoggia; il suo vicesindaco, Nicola Corrado, che del Pd sarebbe il volto più fresco coi suoi 36 anni, rompe col partito e si candida a sua volta in una lista civica (quasi tutti ragazzini). I classici cento passi, lungo il corso, dividono i «due Pd», la sede storica dall' antro degli eretici dove è aperto il «Comitato per Corrado sindaco». I discoli di Corrado si sono portati via pure le bandiere, «il vero Pd siamo noi», dicono. Lo stato maggiore ne ha comprate di nuove in tutta fretta: «Ci spiace per questa separazione, deviazione... scelga lei il termine», sospira Turcio, «però piantatela di raccontare Castellammare come malcostume, sennò finiamo sempre in bocca a Baudo». (Persino il trionfo sanremese di Tony Maiello, un bravo ragazzo di questi vicoli, è stato avvelenato dalle polemiche, dopo gli strali di Pippo su Castellammare «invivibile»). «Io ho già vinto! Siamo giovani e gli daremo filo da torcere. Non ho chiesto di fare il sindaco, solo di competere», tuona il «deviazionista» Corrado, che pare un leaderino della Fgci. Il male del Pd è in parte il male della città. I 630 stabiesi in corsa per i 30 seggi di Palazzo Farnese non sono una primavera di democrazia ma un gelido inverno di crisi: per dire, un posto da consigliere, barando sulle commissioni comunali (ci sono 27 consiglieri indagati), frutta in gettoni di presenza anche 50 mila euro a mandato. Le grandi fabbriche hanno chiuso tutte eccetto Fincantieri, che balla sul baratro con 1.800 posti a rischio. Il sindaco uscente spiega: «Io avevo detto a quelli del Pd: trovatevene un altro, più giovane, unitario». L' hanno costretta a ricandidarsi, eh? «Lei fa dell' ironia. Ma dire no era come fuggire». Rimpianti? «Dovevo sciogliere tutto già nel 2008, ci stavamo sfarinando». Beh, allora aveva Cimmino per vicesindaco... «Già, ma non gli rinnovai le deleghe. E il Pd mi fece un anno di guerra». Vozza è stato abbandonato da molti. Anche dagli imprenditori che puntano al piano casa e ai fondi europei: «Si può anche perdere», ammette: «Ma non governerò più con un' insalata di liste». Luigi Bobbio, il candidato del Pdl, è magistrato antimafia e capo di gabinetto di Giorgia Meloni. Prova ad alzare la bandiera della legalità: «Divento l' Alessandro Magno di Castellammare. Taglio il nodo gordiano delle candidature inquinate...». Ma le liste che lo appoggiano sono una dozzina, tutti corrono in soccorso del possibile vincitore. Sicché anche lui è portatore di un paradosso: da parlamentare fece un' interrogazione proprio sugli uomini di Vozza che adesso ha imbarcato. «Era solo lotta politica, Vozza aveva vinto e allora...». Come si dice a Roma, ci provò? «Eh già, poi non ne è scaturito nulla». La sua capolista fu segnalata ai funerali del vecchio padrino D' Alessandro. «Erano vicini di casa». Già. Qui tutti sono vicini, amici, compari. Il fratello di Gino Tommasino, Giovanni, dice che «non esistono alternative non inquinate». Quindi? «La nostra famiglia non voterà per nessuno». Per andare sul sicuro. (Goffredo Buccini il Corriere della Sera)
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