di Filomena Baratto
Vico Equense - Ci sono luoghi che non dimentichiamo mai non solo per la bellezza che emanano, ma anche per quello che rappresentano. Vico Equense è un caso unico nel suo genere: piccola perla su una costa alta e rocciosa, tra colline e mare, rappresenta un posto incantevole. Per chi giunge nella piazza di Vico venendo da Napoli, crede che quello sia il cuore della città. Da quando hanno portato a termine le gallerie e il passaggio per Vico non è più un obbligo, si crede che la città abbia ceduto il suo fascino per l’importanza di guadagnare tempo. Chi crede questo, si sbaglia. Il fascino di Vico si respira più che vederlo, si sente, lo si avverte nell’aria, lo si ricorda, lo si porta addosso. Già l’ultimo tornante prima di intraprendere la strada per la piazza, ci informa che forse un tratto di costa così non lo vedremo più andando oltre. Fermandoci sulla villetta, subito nella curva tra la strada per la marina e il centro, ammiriamo le più belle colline del posto davanti a noi, arricchite dalla punta del campanile del convento di San Francesco e, se l’occhio regge alla vista, scenderà verso sinistra fino a mare, incontrando quell’angolo di paradiso di pezzo di mare da cartolina. Sono scenari visti e rivisti che ognuno di noi conosce ad occhi chiusi. E basta fissare il campanile e il verde della montagna intorno per andare al passato. Chi di noi non ha da raccontare storie ed episodi in proposito? Chi può ritenersi privo di un qualcosa che ci faccia capire quanto siamo legati a questi luoghi? Passata la fontana, monumento centrale, ci si immette sulla strada che porta a Seiano e, prima della seconda curva a sinistra, si può procedere a destra, giù, verso la chiesa della Santissima Annunziata e al castello Giusso.
Guardare il mare da questo piccolo cortile antistante la chiesa è per pochi privilegiati: per gli innamorati che lasciano i lucchetti o che vogliono risolvere nodi gordiani, o appropriarsi di un panorama mozzafiato che rievochi momenti unici. Hanno idea di cosa voglia dire conoscere ogni pezzo di questa città, quelli che la ammirano dal mare, con la Chiesa a picco sulla roccia, segno inconfondibile di logo cittadino, una tra le più belle e di valore d’Italia? Scorrendo lo sguardo oltre, sempre per chi ammira la città dal mare, è la volta del castello Giusso, una rocca anch’essa a picco sulla costa che si erge in tutta la sua imponenza, in uno scenario di verde e di archi, colonne, struttura ben distribuita che mette addosso la voglia di sognare sia nel passato, suo vissuto inconfondibile, che nel futuro. Poco prima della seconda grande villetta della città, si trova un altro elemento inconfondibile di Vico costituito dal monumento della Santissima Trinità, che un tempo era una scuola. Anche mia madre ha frequentato questa scuola parlandomene tanto da costituire per tanto tempo un luogo immaginario dove la vedevo aggirarsi tra le aule e il cortile con le amiche in giochi all’aria aperta. Tutto quello che di bello ha Vico, lo si vede dal mare, come scenari di un presepe che si sviluppa dalle colline al mare. Com’ è il caso del convento di San Francesco, un luogo silenzioso, immerso nel verde, a ridosso del cimitero di Vico, col suo rosso campanile che spicca alla sommità della collina in tutta la sua eleganza. Una volta aveva una vita questo convento, come un’oasi in mezzo al verde, ora è più silenzioso di una volta. Oggi restano pochi frati, è finita l’epoca d’oro di fra’ Cosimo che per anni è stato il re del luogo, arricchendolo di verde, di spazi floreali. Se fosse ancora in vita, mi piacerebbe chiedergli alcune delle mie curiosità di bambina quando passava per casa dei nonni a prendere i prodotti della terra. Allora veniva per la questua e nessuno si sottraeva a questo impegno. Ricordo ancora il rotolare delle noci nel suo sacco o i formaggi fare un tonfo nella sua cesta. Sembrava una forza della natura, tanto da crederlo eterno. E quando ancora oggi vado al convento avverto i suoi passi e i suoi discorsi o il suo giocare con i colombi. L’ultima volta l’ho visto qualche anno fa, davanti al convento a coprire le aiuole di viole. Chiese l’aiuto di mio zio che era lì e fu emozionante sovrapporre la sua attuale forma con quella di una volta. E’ rimasto li, credo non si sia mai allontanato. Per lui resta il Paradiso. Ho sempre pensato che non finisse mai, e invece, oggi, questo luogo gli sopravvive ma ogni angolo del convento emana la sua presenza fatta di tanta operosità, di forza, di scelte, di preveggenza. Nell’immaginario resta un frate rivoluzionario. Vico la si respira, come quando abbiamo bisogno di ossigeno e ci riforniamo di boccate d’aria e pertanto non posso fare a meno di ricordare i suoi profumi di ulivo, di erba secca, di papaveri e di miele, di latte dei caseifici, di caffè, di sale che proviene dal mare, di brezze al mattino presto e sera tardi… Sono tutti rimasti dentro e sono quelli che poi danno slancio alle altre nostre scoperte, fungono da timone per le nostre conoscenze, i nostri gusti, i nostri desideri. Tutti profumi che come una matrice vanno a depositarsi nell’animo e indirizzano anche le nostre scelte. Vico è nelle sue piccole cose, nelle stradine, nei sentieri che dalle colline scendono a mare, nei sogni dei giovani e nei ricordi di quelli avanti con gli anni. Vico non si ferma alla piazza, ai gelati di Gabriele, ad Asturi, alla Pizza a metro, a Teatro mio, alle sue spiagge, ai ristoranti, alle strade…Vico vive nelle persone con i ricordi che di essa hanno ricevuto e che custodiscono gelosamente. Vico esporta incantesimi e magie avvolti nei suoi silenzi, nelle sue discrezioni, nella sua gente operosa, attenta, ospitale, parsimoniosa, nella ricerca di un passato che ancora rivive negli occhi di coloro che non dimenticano, che ritornano e rievocano, tramandano, curano. L’anima è fatta di suoni e colori, profumi e ricordi, è fatta di cose preziose che la propria terra offre a ciascuno, per non dimenticare da dove siamo venuti e dove siamo diretti.
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