di Filomena Baratto
Vico Equense - Stamattina vorrei andare a passeggiare in riva al mare o su qualche versante di montagna, ma sono ancora in pigiama a scrivere, a organizzare la mia giornata multitasking e, mentre penso di andarmene per prati, la scrittura mi trattiene e prende il mio tempo. Sono nello studio e guardo fuori gli alberi che qualche settimana fa erano privi di foglie, mentre adesso hanno ricche chiome di un verde spumeggiante. I ricordi di aver vissuto all’aria aperta da bambina, quando conoscevo tutte le fasi delle stagioni, per leggerle sui rami, nel cielo, respirarle nell’aria, mi raggiungono come ospiti ben accolti. Scrivo e guardo fuori. Il verde mi circonda, vedo fin lassù la stazione della funivia a Faito, mentre il sole illumina i tratti di roccia scoperta e la strada che porta in cima. Il tutto coperto di blu e di rondini e uccelli che gironzolano sui rami a costruire nidi precisi. Le loro voci sono come un parlottare tra persone nella strada a raccontarsi. Vorrei tradurre i loro discorsi sulla primavera, che raccontano di nascite, di sole, di fermenti. Una volta le primavere erano lente, lunghe, colorate e luminose. Oggi si rincorrono velocemente, quasi non ce ne accorgiamo. Assorbiti dai nostri impegni non abbiamo il tempo nemmeno di capire che i fiori di melo sono bianchi come i ciliegi, quelli di pesco, rosa, che le gemme si trasformano in fiore, o foglia, o ramo e che l’aria è ricca di profumi per i pollini trasportati dal vento. Dovremmo avere il coraggio di lasciare i nostri impegni per assistere al parto della primavera.
Osservare la natura nel suo cambiamento stagionale è come assistere al nostro. Quanto vale una passeggiata sulla battiglia in questo periodo in cui le spiagge sono ancora poco frequentate, o lungo i sentieri che raccontano tante storie del passato e dei luoghi in cui siamo cresciuti, o nelle strade di campagna vicino agli orti pieni di verdure. Seduta a scrivere tra me e il panorama ci passa una finestra chiusa, ma la forza della fantasia riesce ad aprirla e andarmene per i miei luoghi. Vorrei correre, andare a mare a fare un bagno anche fuori stagione, o percorrere le cime dei monti con borraccia e panino nello zaino. Mi mancano i cani che correvano nei prati con me, e mi manca il prato con i fiori che non ho più visto. I prati sono per l’infanzia, le città per l’età adulta. Ma accade che adulta poi torni nei prati di quando eri piccola e non li trovi più. Forse è meglio che abbiano più vita nella memoria, di là nessuno mai li caccerà. Che ne è stato del prato di quando ero piccola? Chi ha pensato di accorciarlo o stravolgerlo? Lo so, lo sappiamo tutti: il cemento, il più grande nemico dell’infanzia che stravolge la nostra geografia interiore. E se io ce l’ho nella memoria, i bambini di oggi devono darsi da fare per conoscerne un pezzetto. E i fiori? E le farfalle che correvo a racchiudere nei palmi delle mani senza rendermi conto che avevo fatto un bel tratto di strada allontanandomi da casa per acchiapparne solo qualcuna? Tutte quelle punte colorate sull’erba alta con insetti da ogni parte, con le coccinelle, i grilli…le lucertole che temevo più di ogni altra cosa. Come spieghi a un bambino oggi un cervo volante, uno scarafaggio, un maggiolino, li crederanno nomi di auto, invece esistono in natura. E un lombrico, il classico verme, il millepiedi, il calabrone, le api. E poi quel che resta dell’erba dove i suoi abitanti sono più soli, non c’è l’allegra compagnia di quando esistevano i grandi prati liberi, quelle sconfinate praterie dove ti ci tuffavi come in mare, rotolandoci dentro fino a fermarti e riposare come Gulliver approdato a Lilliput con tutti i suoi ometti. Credevano di averti in pugno e ti salivano addosso come fossi una strada da percorrere. Dopo tornavi a casa con la formica che ancora viaggiava sulla pelle, o avevi appiccicato da qualche parte due ali distrutte di farfalla, qualche moscerino in prigione, un fiore attecchito nei capelli. Quella era la prova che avevi visitato un prato vero e nessuna mamma ti strillava. I bambini non dimenticano i loro prati e quelli che lo conoscono sin da piccoli, non lo dimenticheranno più, anche quando abiteranno i grattacieli una volta adulti. E vorrei anche i miei alberi di allora, così colorati, ricchi di foglie e di frutti. Un mattino di primavera nei campi è un elisir di lunga vita. Respiri con gli alberi, ti colori con i fiori, sei viva come le gemme, ti confondi con i riflessi di sole riversi sui muri delle case, con i silenzi dell’aria poco prima del risveglio di ogni anima del luogo. Primavera non solo negli orti e lungo le rive o per i sentieri, anche in noi, come uno sciogliere le nevi del nostro inverno, per lasciar scorrere tutte le energie positive bloccate dentro.
Nessun commento:
Posta un commento