domenica 6 aprile 2025

Carbonara Day: il piatto romano che nasce al sud

A Pertosa nel Vallo di Diano c'è la tradizione degli spaghetti con pecorino, uova e guanciale cucinati a Carnevale La ricerca di Eleonora Cozzella ci riporta a Roma, dove la ricetta ha assunto i caratteri che oggi vengono celebrati ma sfiora anche la "pista napoletana". Un piatto della festa che unisce pasta, uova, formaggio e grasso di maiale

di Luciano Pignataro - Il Mattino

La Carbonara? E' nata a Pertosa! Sì, il paese delle grotte che sta all'inizio del Vallo di Diano, quando la Campania inizia a confinare con la Basilicata. Gli abitanti li chiamano spaghetti di Carnevale o vermicelli pertosani, perché, proprio come succede a Castelvenere in provincia di Benevento, proprio in occasione di questa festività si mangia una bella porzione di pasta con l'uovo e i resti della lavorazione del maiale. E' una usanza ancora viva, gli spaghetti sono sottili, tirati a mano e freschi, finiscono di cuocere nelle pentole di ceramica messe direttamente sul fuoco. I sanniti invece la passano al forno e chiamano questo piatto Scarpella. Ma possiamo continuare, sono a Montoro con il pastiere (maschile) che, per capirci, è una gigantesca frittata di pasta con cacio, uova e pezzi di maiale cotta al forno. Insomma, l'avete capito quando si tratta di cucina italiana, le radici sono molto profonde e la versione moderna della carbonara, che sino agli anni 70 si faceva anche con la panna, è solo un momento di passaggio, diffusamente attribuito ai soldati americani e di cui comunque si ha notizia scritta, con questo nome, solo nel 1954 secondo la ricerca condotta da Eleonora Cozzella che è alla base del suo libro sul tema. Fatto sta che il Carbonara Day è diventato un moltiplicatore di questo piatto, a Roma ci sono ristoranti specializzati come Eggs, fuoriclasse come Sara Cicolini e Luciano Monosilio, una storica trattoria a Campo dei Fiori di fronte alla statua di Giordano Bruno che si chiama proprio così, La Carbonara.


I precedenti esaminati nel libro della Cozzella abbondano, lei parla esplicitamente di pista napoletana. Non solo Vincenzo Corrado, che nel Cuoco Galante' (1778) dice che «le Paste fine si possano cuocere nel brodo bianco di Cappone, o pure nel brodo oscuro di Manzo, o nel latte; e cotte si possono servire legate con gialli d'uova o senza». E nemmeno nella Cucina teorico-pratica' del 1837 di Ippolito Cavalcanti, dove appare il matrimonio tra pastasciutta, uovo e formaggio nell'Ordura di taglioni'. Nell'edizione del 1839 dello stesso libro, nella parte dedicata alla Cucina casereccia in dialetto napoletano': tra i modi per condire i «maccarune de tutte manere» c'è quello semplice «co caso e ova sbattute». Un altro precedente che più ancora si avvicina alla carbonara lo contiene «Il principe dei cuochi» di Francesco Palma datato 1881. I suoi maccheroni con cacio e uova includono anche la sugna, cioè il lardo sciolto del maiale. E poi nelle memorie gastronomiche di Amelie, una nobildonna parigina venuta in sposa a Napoli alla fine dell'800, troviamo i maccheroni con uova conditi con formaggio grattugiato, uova sbattute, strutto e un po' di pepe (unica differenza molto basilico e prezzemolo, poi era brodosa, da mangiare col cucchiaio). Oggi due scuole si contrappongono: i puristi che la servono comunque asciutta e quelli che seguono la moda con un piatto molto cremoso. Comunque sia, la pasta è il tapis roulant dell'abbondanza contadina libera dalla fame con il maiale, il formaggio e le uova che festeggia a Carnevale e a Pasqua quando le galline riprendono a fare il loro dovere! In ogni caso, è sicuramente uno dei piatti più venduti a Roma e più conosciuti al mondo. 

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