Il cornicione alveolato simbolo della ricerca sugli impasti
Fonte: Luciano Pìgnataro da Il Mattino
Per la prima volta c'è una spallata alla tradizione dura e pura della pizza napoletana. No, non è la pizza gourmet, ma quella a canotto, come viene scherzosamente e ironicamente definita da un movimento nato in sordina soprattutto nell'hinterland e in provincia di Caserta e che vede protagonisti decine di giovani pizzaioli. Ma di cosa si tratta? Molto semplice, del cornicione alto, talmente alto che conferisce alla pizza la forma del canotto. Per la verità mola all'inizio lo chiamavano gommone, poi Vincenzo Pagano (www.scattidigusto.it), ha suggerito il termine canotto a Carlo Sammarco e d è diventato virale. Ma torniamo a noi: in città il cornicione non è tradizionalmente amato, in genere è basso e mola lo lasciano addirittura perché asciuga troppo il palato. Ma il canotto delle giovani generazioni è qualcosa di completamente diverso: è leggero e alveolato, ripulisce il palato senza seccarlo in eccesso. Per molti pizzaioli, appassionati di lievitazioni e di impasti nuovi, farlo leggero come una nuvola è diventato un punto di onore e alcuni usano anche il metodo della biga, di cui si parla in questo speciale. Ma al di là del gusto e delle spiegazioni tecniche, il dato distintivo è che il canotto è diventato il tratto distintivo di una generazione, segnala quasi l'appartenenza ad un movimento, viene esibito con orgoglio nei social con le foto dove c'è una competizione quasi quotidiana sulla visibilità di cui profittano finti comunicatori che millantano amicizie e che promettono faville per poi essere pagati magari in nero. Una situazione di confusione, insomma, però in una cornice di crescita.
Il canotto come tratto distintivo di una generazione ma anche di un territorio come quello Casertano, vilipeso e infamato da incredibili campagne mediatiche che non hanno trovato alcun riscontro scientifico sui dati. Certo, il fenomeno dei rifiuti tossici c'è stato, male conseguenze sull'agricoltura e sulla vivibilità ambientale non riguardano certo tutta la provincia che, anzi, gode di aree di una purezza assoluta. Un orgoglio di territorio a cui ha contributo sicuramente la famiglia Pepe a Caiazzo, prima con la tradizionale pizzeria di famiglia fondata dal nonno, poi con la decisione del figlio Franco di creare un suo spazio divenuto un luogo cult della pizza in tutto il paese. Una pizza sicuramente diversa da quella a ruota di carro, più simile a quella del Vomero e poi di Ghiaia, che ha appunto il cornicione più pronunciato. Dopo di lui Caserta nel giro degli ultimi anni ha avuto uno sviluppo incredibile, citarli tutti sarebbe impossibile, ma sicuramente la figura dei fratelli Francesco e Salvatore Martucci, ciascuno con la propria pizzeria, è stata decisiva nel diffondere il verbo del canotto. Uno tsunami che comprende la vicina Acerra, Orta di Atella, Caivano, Aversa, nuova città della pizza con una batteria di aperture importanti, Pozzuoli. L'anima di questa pizza, a nostro giudizio, è comunque napoletana perché parliamo di impasti idratati, grande scioglievolezza al palato, uso di ingredienti di alta qualità, cultura del territorio, sperimentazione con nuovi ingredienti. Le pizzerie ormai sono le nuove trattorie e il fenomeno non si è ancora esaurito. Naturalmente i puristi della tradizione arricciano il naso, ma noi siamo convinti che questi stimoli facciano bene a tutti e ci auguriamo che la competizione resti nell'ambito degli sfottò che leggiamo in rete (memorabile il video estivo di Alessandro Condurrò che prendeva in giro bonariamente i «canottieri»). Ci sono sicuramente dei protocolli codificati, ma è necessario che questa incredibile energia venga fatta propria dal movimento della pizza napoletana e dalle associazioni perché si tratta di qualcosa di sano che non ha alle spalle origini e bufale commerciali come abbiamo visto invece per altre pizze, o presunte tali, che hanno in un certo momento storico avuto la presunzioni di dire come andava fatta la pizza napoletana. Qui si tratta di giovani che hanno sviluppato una loro cultura degli impasti, che amano sperimentare ma che, pur differenziandosi, restano ampiamente nel solco della pizza di stile napoletano.
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