di Filomena Baratto
Vico Equense - Di buon mattino si parte per una spedizione preparata da tempo: andare sul Molare prima che arrivi la pioggia. Sveglia presto, panini, acqua, set per il primo soccorso, scarponcini, pantaloni. Ancora assonnati che nemmeno il caffè fa aprire gli occhi, con un giubbotto caldo, lo zaino a spalle, si parte. I fine settimana sono una congiura: scegliere subito cosa fare e se, come adesso, prepari una spedizione, poi devi mantenere l’impegno. Cominci a pensare sarebbe stato meglio dormire un po’ in più, ma chi me lo fa fare, proprio io dovevo organizzare una cosa del genere. Intanto si parte, bandite le domande e raccogliere le forze. Tutto sommato perché andiamo proprio sul Molare? Be’, per la vista strepitosa, per il verde, per l’aria buona, per il panorama…Io per un po’ di pace. Pace inteso come silenzio? No, pace con me stessa, per incontrarmi in un luogo dove posso pensare. Qualcuno mi dice che penso sempre e troppo, non c’è bisogno di raggiungere la sommità del Molare per farlo. Silenziosi, partiamo. Sonnecchio e guardo gli altri, tutti con l’aria di dire: “Ma perché ‘sta levataccia!”. Ogni tanto s’ha da fare una pazzia. Imboccando la salita da via Canale, arriva la prima luce del giorno e così le prime parole, battute, risatine. Chi pensa al cibo, dove andare a mangiare, chi pensa al freddo, chi pensa a quello che avrebbe fatto a casa. Fino a quando arriva la domanda: “Ma a che scopo andiamo lassù?
C’è un motivo particolare, qualcosa da vedere, un evento?” La domanda ci coglie di sorpresa, nessuno ha un motivo se non quello di dare senso a una giornata. “Si va per provare l’ebbrezza dell’altezza, la bellezza del panorama”. Intanto arriviamo a Bonea, io mi incollo al finestrino a guardare i colori tra i filari delle viti, ormai spoglie e il mare tra le foglie. Poi mi viene di rispondere:” Tu hai sempre uno scopo nella vita, o qualche volta la vita ti porta qualcosa senza che tu lo abbia chiesto?” Altro silenzio. Il mattino ci coglie in filosofia, ancora non siamo svegli e già tutti con riflessioni varie. “A me piace scoprire, andare, conoscere, non perdermi niente!” “Che significa non perdermi niente?” “Significa vivere!” Non sono d’accordo, facciamo quello che ci piace, non tutto quello che ci viene proposto!” Siamo al bivio per Patierno e qualcuno tira fuori del caffè, qualche graffa, una brioche. Il mezzo si trasforma in bar itinerante. Più su, la prima salita dopo Moiano, qualcuno dice di fermarci. Scendiamo tutti e il silenzio scende tra noi. In sette senza parlare. Si intravede appena un raggio di sole e siamo stravolti dal panorama e dal paesaggio malato per i roghi estivi.”Anche i luoghi non vanno abbandonati, come le persone. Giriamo mezzo mondo e non frequentiamo assiduamente i nostri. Soffrono crisi come noi. Vogliono essere visitati, avere compagnia, sentirsi importanti, come le persone. E forse se non li lasciassimo soli, nessuno farebbe loro del male!” L’amico che guida avverte quando risaliamo in auto:” Vorrei che ciascuno, stasera, mi dicesse questa passeggiata cosa gli porta, una sorta di indagine interiore, scopriamo il dialogo che abbiamo con la montagna!” Tutti d’accordo e ritorniamo nei nostri silenzi come se attendessimo una giornata di importante rilievo. Giunti all’ingresso del sentiero per salire su al Molare, una volta posata l’auto, l’esercizio intrapreso continua formando tre gruppi. Ciascuno dovrà tornare lì con le sue risonanze. Non facevo questo dai tempi dei ritiri giovanili. Al seguito il mio taccuino con penna mentre i telefonini li abbiamo lasciati nell’auto. Appena comincio il sentiero, resetto il mio cervello, non penso. Sento il fruscio delle foglie alla brezza, la ghiaia sotto i passi, qualche cinguettio, un rumore lontanissimo… Sto con me stessa, non devo condividermi con nessuno: ci sono io ed io. Più in là dei fiori che non avevo mai visto e poi fruscii vari. Noi tre seguiamo rotte diverse: chi più avanti, chi più dietro. Qualcuno del mio gruppo scrive, io decido di sedermi su una grossa pietra. Mangio un piccolo panino e quando le mie briciole riempiono il posto ai miei piedi, arrivano le formiche: grandi, enormi. Una colonia lunga si leva davanti ai miei occhi ed io mi rivedo da piccola quando facevo le stesse osservazioni. Allora le briciole erano prodotte di proposito per richiamare la compagnia. Poi arrivava il maggiolino, grilli piccolissimi, e poi coccinelle. Un prato affollato, pieno di vita. Riprendo a camminare, questa volta mi colpisce il croco, due o tre piccoli fiori di un colore meno brillante. Da piccola li raccoglievo per la Madonnina sul comò, duravano tantissimo. Il croco mi riporta un pezzo di vita. La mia amica sa che sto rievocando e mi lascia continuare da sola. Finalmente ci appare una vista mozzafiato ed ogni parola perde significato a confronto. Mi chiedo perché sono nata proprio qui, in questo posto meraviglioso. Tanti perché! La mia amica dice che i perché sono inutili, semmai dovrei chiedermi cosa mi dà questo luogo. Arrivati alla sommità non mi pongo più domande. Ma mi viene in mente mio nonno quando una volta mi disse: “Non è importate quanto sali, ma come sali, perché salire bene e senza perderti le cose è crescere, salire per salire è un ridiscendere di nuovo”. Salire, quella era la parola chiave. Salire nella vita, la scala dei valori, salire socialmente, o salire sulle vette, in cima. Dico alla mia amica che la vetta mi fa paura, fa perdere l’equilibrio, si è soli, il silenzio stanca!” E lei mi dice che sai quanti vogliono stare in cima e passano la vita a volerla raggiungere? La dissuado, non è così. Tutti vogliono salire per credere di avere qualcosa in più che gli altri non hanno ed essere al di sopra. Vogliono salire credendo che il potere non faccia sentire loro il bisogno d’amore, come se l’amore fosse una debolezza e non una necessità, ma sono due cose diverse, da non confondere. Salire significa scoprire sempre più una parte di te fino a capire che stai conquistando te stesso e non le cose o gli altri”. “A me piace scoprire lungo il cammino, fermarmi a conoscere, mi piace il sentiero, non la cima. Le cose che ho visto per arrivare qui sono impagabili. Apprezzo questa vista per quello che ho fatto per arrivarci” Altro che risonanze, quell’altezza cambiava la nostra prospettiva interiore. Bisogna vivere secondo le nostre inclinazioni ma senza qualcuno che veda questo di noi, che apprezzi, che ci stia vicino, non avrebbe senso. Viviamo per rifletterci negli altri, per viverli, e non isolarci. E se il Molare ci porta per un po’ a queste considerazioni, allora vivere in questo significa avere idee più forti, più originali. Produce forza una prospettiva del genere. Fa sentire onnipotenti, carica. Alla fine quello che vogliamo è l’amore degli altri, il loro bene, l’unica forza che ci rende onnipotenti anche a basse quote. In tutto quello che facciamo, il nostro sforzo maggiore è quello di avere il bene degli altri, questa la vera essenza della vita. Il Molare esiste per farci capire che questa vista, questo panorama sono straordinari, e la straordinarietà nasce dagli altri che ci fanno sentire amati, perché grazie all’amore comprendiamo la vastità e la bellezza. Altrimenti sarebbe un luogo alto e basta”. A fine giornata, quando si scende, la conversazione è inarrestabile. Ciascuno fa le sue osservazioni, ma resto basita quando gli altri ripetono quello che avevo detto alla mia amica: “Alla fine siamo tutti cercatori d’amore”.

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