Nell’ultimo giorno, tra una correzione e l’altra, mi giravano in mente le ultime pagine del libro Cuore, apponendo al modello di scuola di oggi, quello di più di un secolo fa. Quest’anno le pareti delle aule non hanno visto un cartellone né una cartina geografica, lasciando uno spazio interno minimalista. Pareti spoglie, sussidi lasciati a casa, armadi col minimo indispensabile. Via i mappamondi, i cartelloni che riprendevano lezioni effettuate, aule scarne: solo cattedre, banchi e lavagne, poi nulla. Quando andavo a scuola io, l’aula era una casa arredata e in cattedra, tutte le mattine, c’erano pure i fiori, alle pareti i nostri lavori, in bellavista le cartine. Le sedie malmesse, tanto da recare sempre qualche graffio alle gambe o smagliatura ai calzettoni, e i banchi, con buchi e screpolature, davano all’ambiente un’aria vissuta. Forse l’ultima pagina di addio del libro Cuore mi è giunta per questo ricordo. Eppure, nell’imprevedibilità delle nostre giornate scolastiche di oggi, la didattica non ha subito alcun arresto, pur con tutte le difficoltà incontrate, pur continuando a ripetere il rituale ritornello di parole come distanziamento, igienizzare, tirare su la mascherina, disinfettare. Osservavo gli alunni con quanta disinvoltura adesso portano la mascherina, con quanta abilità la cambiano se si sporca o cade, come igienizzano o lavano le mani. E’ stato un ultimo giorno di un lunghissimo anno, in cui abbiamo vissuto con paura, tensione e preoccupazione. La scuola cambierà, se non è già cambiata. Nuovi attori hanno reso la scena più corale rispetto a una volta. Quante volte ho visto la fine di un anno scolastico da docente, tante da poter dire che quest’anno non si avvicina a nessun altro. Una volta ci si salutava, ci si abbracciava, effusioni che non possono più esistere. La preoccupazione di ammalarsi ci costringe a tenerci lontano. Siamo entrati in un’altra epoca anche per i rapporti: più formali e meno calorosi. Ognuno rientra nel proprio spazio, nella propria isola in cui crede di stare al riparo. Ma lì siamo anche più spaventati. Gli alunni, invece, non hanno perso l’entusiasmo, né la voglia. Stare a loro contatto aiuta a uscire dalla solitudine in cui siamo caduti. Quando la scuola è rimasta sola, il cancello ha chiuso i battenti e il silenzio ha avvolto lo spazio antistante l’edificio, ho guardato il salice che reclinava i rami a terra e mi sono identificata in quell’immagine. Ogni anno finisce un’epoca, ogni anno porta via cose che non torneranno più. E quello che si è appena concluso è un anno che vorremmo dimenticare. Ho pensato anche che sarebbe stato meglio se, al posto del salice, avessero piantato un pino, si sarebbe stagliato al cielo e sarebbe apparso alto e vigoroso infondendo un coraggio maggiore. Ma non basta un albero a scacciare un anno come quello appena passato.
sabato 12 giugno 2021
La scuola è finita
di Filomena BarattoLa scuola è finita quasi senza accorgercene. Ieri, ultimo giorno, è volato con normalità. In altri tempi, di questi giorni, si facevano progetti per le vacanze, si aspettava di staccare completamente per il meritato riposo. E tra lezioni in presenza e Dad, rientri e chiusure in casa, più che la fine della scuola è parsa una tregua a una guerra ancora in atto. La stanchezza di questi mesi ci ha fatto perdere le consuetudini precedenti, come se fossimo assorbiti da una normalità apparente, che ci siamo imposti per non subire contraccolpi. Anche gli alunni mostrano una tranquillità inverosimile nell’ultimo giorno, dovuto forse al carattere intermittente in cui è caduta la scuola. Durante quest’ anno abbiamo assistito a una rivoluzione dentro e fuori l’aula. L’utilizzo del computer in classe, visto come un elemento costante e imprescindibile di didattica, la collaborazione dei genitori, l’ingresso giornaliero dei docenti nelle case degli alunni e la conoscenza di ritmi e stili di vita delle famiglie, la solidarietà per una migliore collaborazione tra le parti, ha fatto scoprire aspetti prima sconosciuti. Siamo ancora stanchi delle ore passate davanti al freddo schermo in cui volevamo incorporare pedissequamente le lezioni strutturate come in classe. Lo schermo ha trattenuto le nostre forze e ci ha impedito il movimento procurandoci anche tanti malanni. La scuola è entrata in un’altra era. Abbiamo approntato nuovi metodi e strategie d’insegnamento grazie alla tecnologia. Il computer è entrato in classe mentre solo pochi mesi prima sembrava che il telefonino usurpasse la serenità della scolaresca. Una volta l’insegnante era alle prese con i registri cartacei, oggi esce dall’aula col computer. E’ diventato un fedele segretario, che immagazzina dati in tempo reale. Gli alunni seguono tutorial, guardano film, ascoltano lezioni e musica. In un anno abbiamo sviluppato potenzialità che prima credevamo appartenessero a un lontano futuro.
Nell’ultimo giorno, tra una correzione e l’altra, mi giravano in mente le ultime pagine del libro Cuore, apponendo al modello di scuola di oggi, quello di più di un secolo fa. Quest’anno le pareti delle aule non hanno visto un cartellone né una cartina geografica, lasciando uno spazio interno minimalista. Pareti spoglie, sussidi lasciati a casa, armadi col minimo indispensabile. Via i mappamondi, i cartelloni che riprendevano lezioni effettuate, aule scarne: solo cattedre, banchi e lavagne, poi nulla. Quando andavo a scuola io, l’aula era una casa arredata e in cattedra, tutte le mattine, c’erano pure i fiori, alle pareti i nostri lavori, in bellavista le cartine. Le sedie malmesse, tanto da recare sempre qualche graffio alle gambe o smagliatura ai calzettoni, e i banchi, con buchi e screpolature, davano all’ambiente un’aria vissuta. Forse l’ultima pagina di addio del libro Cuore mi è giunta per questo ricordo. Eppure, nell’imprevedibilità delle nostre giornate scolastiche di oggi, la didattica non ha subito alcun arresto, pur con tutte le difficoltà incontrate, pur continuando a ripetere il rituale ritornello di parole come distanziamento, igienizzare, tirare su la mascherina, disinfettare. Osservavo gli alunni con quanta disinvoltura adesso portano la mascherina, con quanta abilità la cambiano se si sporca o cade, come igienizzano o lavano le mani. E’ stato un ultimo giorno di un lunghissimo anno, in cui abbiamo vissuto con paura, tensione e preoccupazione. La scuola cambierà, se non è già cambiata. Nuovi attori hanno reso la scena più corale rispetto a una volta. Quante volte ho visto la fine di un anno scolastico da docente, tante da poter dire che quest’anno non si avvicina a nessun altro. Una volta ci si salutava, ci si abbracciava, effusioni che non possono più esistere. La preoccupazione di ammalarsi ci costringe a tenerci lontano. Siamo entrati in un’altra epoca anche per i rapporti: più formali e meno calorosi. Ognuno rientra nel proprio spazio, nella propria isola in cui crede di stare al riparo. Ma lì siamo anche più spaventati. Gli alunni, invece, non hanno perso l’entusiasmo, né la voglia. Stare a loro contatto aiuta a uscire dalla solitudine in cui siamo caduti. Quando la scuola è rimasta sola, il cancello ha chiuso i battenti e il silenzio ha avvolto lo spazio antistante l’edificio, ho guardato il salice che reclinava i rami a terra e mi sono identificata in quell’immagine. Ogni anno finisce un’epoca, ogni anno porta via cose che non torneranno più. E quello che si è appena concluso è un anno che vorremmo dimenticare. Ho pensato anche che sarebbe stato meglio se, al posto del salice, avessero piantato un pino, si sarebbe stagliato al cielo e sarebbe apparso alto e vigoroso infondendo un coraggio maggiore. Ma non basta un albero a scacciare un anno come quello appena passato.
Nell’ultimo giorno, tra una correzione e l’altra, mi giravano in mente le ultime pagine del libro Cuore, apponendo al modello di scuola di oggi, quello di più di un secolo fa. Quest’anno le pareti delle aule non hanno visto un cartellone né una cartina geografica, lasciando uno spazio interno minimalista. Pareti spoglie, sussidi lasciati a casa, armadi col minimo indispensabile. Via i mappamondi, i cartelloni che riprendevano lezioni effettuate, aule scarne: solo cattedre, banchi e lavagne, poi nulla. Quando andavo a scuola io, l’aula era una casa arredata e in cattedra, tutte le mattine, c’erano pure i fiori, alle pareti i nostri lavori, in bellavista le cartine. Le sedie malmesse, tanto da recare sempre qualche graffio alle gambe o smagliatura ai calzettoni, e i banchi, con buchi e screpolature, davano all’ambiente un’aria vissuta. Forse l’ultima pagina di addio del libro Cuore mi è giunta per questo ricordo. Eppure, nell’imprevedibilità delle nostre giornate scolastiche di oggi, la didattica non ha subito alcun arresto, pur con tutte le difficoltà incontrate, pur continuando a ripetere il rituale ritornello di parole come distanziamento, igienizzare, tirare su la mascherina, disinfettare. Osservavo gli alunni con quanta disinvoltura adesso portano la mascherina, con quanta abilità la cambiano se si sporca o cade, come igienizzano o lavano le mani. E’ stato un ultimo giorno di un lunghissimo anno, in cui abbiamo vissuto con paura, tensione e preoccupazione. La scuola cambierà, se non è già cambiata. Nuovi attori hanno reso la scena più corale rispetto a una volta. Quante volte ho visto la fine di un anno scolastico da docente, tante da poter dire che quest’anno non si avvicina a nessun altro. Una volta ci si salutava, ci si abbracciava, effusioni che non possono più esistere. La preoccupazione di ammalarsi ci costringe a tenerci lontano. Siamo entrati in un’altra epoca anche per i rapporti: più formali e meno calorosi. Ognuno rientra nel proprio spazio, nella propria isola in cui crede di stare al riparo. Ma lì siamo anche più spaventati. Gli alunni, invece, non hanno perso l’entusiasmo, né la voglia. Stare a loro contatto aiuta a uscire dalla solitudine in cui siamo caduti. Quando la scuola è rimasta sola, il cancello ha chiuso i battenti e il silenzio ha avvolto lo spazio antistante l’edificio, ho guardato il salice che reclinava i rami a terra e mi sono identificata in quell’immagine. Ogni anno finisce un’epoca, ogni anno porta via cose che non torneranno più. E quello che si è appena concluso è un anno che vorremmo dimenticare. Ho pensato anche che sarebbe stato meglio se, al posto del salice, avessero piantato un pino, si sarebbe stagliato al cielo e sarebbe apparso alto e vigoroso infondendo un coraggio maggiore. Ma non basta un albero a scacciare un anno come quello appena passato.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento