Una sottile rivalità sulle origini di dolci e piatti tipici caratterizza le due costiere. La sfogliatella Santa Rosa, la torta ricotta e pera o la delizia al limone, sono state inventate in penisola sorrentina o sul versante amalfitano?. Dolci a parte, c’è un piatto particolare sul quale si dibatte e ci si confronta per attribuire la primogenitura ad Amalfi o a Sorrento: il cannellone. Tra storia e leggenda c’è una certezza storica che attribuisce allo chef Salvatore Coletta dell’albergo Cappuccini di Amalfi, datata 10 agosto 1924, l’invenzione del piatto, definito «Cosa divina» dal patron dell’hotel don Alfredo Vozzi. Eppoi, c’è la leggenda sorrentina, che si tramanda da una generazione all’altra, che attribuisce l’invenzione dei cannelloni ad Antonino Ercolano, il fondatore del ristorante «‘O Parrucchiano». Il celebre piatto sarebbe stato lanciato nel locale storico sorrentino oltre cento anni fa con il nome originario di «strascinati». Si racconta che Antonino Ercolano li servisse già nel Milleottocento nella piccola trattoria «La Favorita». Come spiega la pagina web del locale, gestito attualmente da Enzo Manniello, l’iniziativa era finalizzata a «mettere a frutto l’arte del fornello imparata quand’era seminarista nella sede arcivescovile». Non era riuscito a diventare prete, ma «per gli amici e per tutta Sorrento era diventato lo stesso, affettuosamente, “o’ parrucchiano”».
Amalfi o Sorrento come origine, il piatto presenta, tuttavia, sottili varianti che, in fin dei conti, mette d’accordo tutti. «I cannelloni all’Amalfitana – spiega Enrico Cosentino, chef di lungo corso e docente emerito negli istituti alberghieri, originario della costiera amalfitana, ma sorrentino d’adozione – si ispirano al genio creativo di Salvatore Coletta che, stanco delle solite ricette, decise di inventare qualcosa di nuovo. Si caratterizzano in maniera decisa. I cannelloni alla Sorrentina, invece, si distinguono per l’abbondante strato di mozzarella che cosparge l’involucro avvolto di pomodoro. Rivalità a parte sulle origini, i cannelloni rappresentano tuttora uno dei piatti più apprezzati della cucina italiana». Storia, leggenda, romanzo. Si, perché, i cannelloni (o strascinati) trovano una precisa collocazione nel libro di Raffaele Lauro «Don Alfonso 1890. Salvatore Di Giacomo e Sant’Agata sui due Golfi», dedicato al capostipite della famiglia di albergatori e ristoratori che hanno scritto pagine storiche sull’enogastronomia di Sorrento e dintorni, esportata in ogni parte del mondo. Il mitico Don Alfonso li avrebbe sperimentati addirittura a Little Italy di Manhattan nel 1888. Emigrante negli Stati Uniti, aveva iniziato il suo lavoro alla Taverna Fulgenzio’s, a Mulberry Street, ma era desideroso di inventare un piatto ispirato agli ingredienti del suo paese, Sant’Agata sui due Golfi. «Quell’idea – scrive Raffaele Lauro – diventò un vero tormentone, un’ossessione». Una sera, erano rimasti due panetti di pasta dei maccheroni alla chitarra. «Cominciò a tirarli in sfoglie sottili, non più alte di qualche millimetro – scrive ancora Lauro -. Poi con la punta di un coltellino ne ricavò dei quadrati di 10 centimetri di lato, che fece sbollentare, per non più di mezzo minuto, in acqua bollente e salata. Li sgocciolò e li allineò su un panno umido per farli raffreddate». Poi, si dedicò al ripieno: il ragù, carne e pomodoro, ricotta, mozzarella, una grattugiata di parmigiano, ma non solo. «E il basilico? – si domandò il giovane Alfonso – Senza basilico non si sentirebbe il profumo del mio paese». Al ritorno in Italia, i cannelloni deliziarono anche Salvatore Di Giacomo, assiduo frequentatore di Sant’Agata sui due Golfi nel 1930 e dintorni.
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