Reportage da Napoli dopo i rincari del 20% per i raccolti poco soddisfacenti L'ad di Illycaffè: «La speculazione in questo settore è molto alta»
di Nino Femiani - Il Giorno
Napoli - Per essere bello, il posto è bello. Un tipico caffè francese nel salotto buono di Napoli, struscio a vista e la barista che ti chiede appena ti appoggi al banco: café au lait, café brulot, café liegios, café nature o café serre? E quando le dici, un 'espresso macchiato', lei resta, a ragione, un poco delusa. Mai però quanto me, al momento di passare alla cassa: 3 euro. «Ottimo caffè, ma a questi prezzi è una tazzina per Pupetto Caravita di Sirignano». Il 'caissier' mi soppesa con broncio aristocratico e mi dice: «Dotto', la materia prima è schizzata su del 30 per cento. E con i dazi di Trump tutto costerà più caro». Non so cosa c'entri The Donald nell'aumento del caffè che un tempo arrivava solo dal Brasile e ora viene spedito in Italia da Etiopia, Kenya, Colombia, Ruanda, Burundi, Papua Nuova Guinea e finanche Vietnam. Certo è, che, anche se diserto il bistrò 'made in Napoli' e mi accontento del baretto low cost sotto casa mia per una colazione mattutina, a base di espresso e cornetto, devo mettermi in testa che non me la cavo con meno di 3 euro, 4 euro se opto per l'ischitano. Secondo uno studio del Centro di formazione e ricerca sui consumi, in collaborazione con Assoutenti, il prezzo medio di un espresso in Italia è passato da 1,03 euro nel 2021 a 1,22 euro nel gennaio 2025, un aumento superiore al 19%. E non è finita qui: Cristina Scocchia, ad di Illycaffè, stima che nei prossimi mesi si potranno registrare ulteriori rincari del 15-20%, trainati dai costi delle materie prime, da eventi climatici estremi e da speculazione internazionale. «Il caffè è una 'soft commodity' e su queste la speculazione è molto alta», spiega Scocchia.
Fin qui il freddo bollettino di numeri e ci sarebbe da discutere. Ma la guerra del caffè apre interrogativi che rischiano di incrinare il nostro stile di vita e uno dei riti identitari della nostra italianità: l'abitudine del popolo di ritrovarsi al bar, davanti a una tazzina, due-tre-quattro volte al giorno, e prendere di mira il potente e i poteri forti. Ricordate Pino Daniele, con la sferzante 'Na tazzulella 'e cafe? 'Na tazzulella 'e cafè ca' sigaretta acoppa pè nun verè/ S'aizano 'e palazze, fanno cose e pazze/ Ci girano, c'avotano, ci regnono e tasse. Ora quel rito sociale, momento di condivisione che ha resistito a guerre, crisi e pandemie, rischia di essere ridimensionato causa aumento dei prezzi. E poi c'è il 'caffè sospeso', meravigliosa invenzione napoletana che permette di offrire un caffè a uno sconosciuto, nel segno della solidarietà. Con l'aumento dei prezzi, questa tradizione rischia di diventare un lusso, un gesto sempre più raro in un'epoca in cui anche il caffè sembra trasformarsi in un accessorio da 'colazione da Tiffany'. D'altronde a Tokyo o a New York già si spendono 4 euro per un espresso. Ma in Italia l'espressione 'pigliamoci 'nu cafè' è un pilastro del nostro lessico quotidiano. Dovremo rassegnarci alla tisana, o alla pratica casalinga? Non disperiamo. D'altra parte, ai tempi di 'Questi fantasmi', 80 anni fa, Eduardo indicava l'espediente da adottare nel celebre monologo del 'cuppetiello': «Io, per esempio, a tutto rinunzierei tranne a questa tazzina di caffè. E me la devo fare io stesso. Questa è una macchinetta per quattro tazze, ma se ne possono ricavare pure sei, e se le tazze sono piccole pure otto per gli amici... il caffè costa così caro... ». La soluzione è la shrinkflation. Tazzine più piccole: meno caffè, ma stesso prezzo. Il rito, almeno quello, è salvo.
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