Cercano gli scomparsi partiti e la perduta politica. E non hanno affatto la sensazione che si tratti di «tempo perduto». Sono tutti gli uomini di buona volontà (e di esperienza largamente Dc), che ieri sera
Paolo Cirino Pomicino ha riconvocato in un albergo napoletano per cercare di uscire dalle secche di questa seconda o terza Repubblica. «Senza partiti, senza una cultura politica - ha introdotto l´anfitrione - restano solo i cesarismi. Noi vogliamo tornare a discutere, confrontare e selezionare darwinianamente le idee, per preparare una classe dirigente. E se una opzione di fondo c´è, è di ricomporre fra loro culture compatibili». Sembra soprattutto un inno al vecchio pentapartito. D´altronde i presenti propongono una trasversalità che va attualmente da Forza Italia (Alfredo Vito e Giuseppe Gargani) al Pd (Piero Squeglia), passando per l´Udc di Erminia Mazzoni. Eppure sono tutti ex Dc, e la cosa viene fuori. Paolo Del Mese (già Udeur, poi con la Dc di Roberto Pizza) invoca «i valori del cattolicesimo democratico». Squeglia parla di «esperienze maturate in un partito dove si faceva politica» e si chiede costernato come mai alla fine lui si ritrovi al fianco di Veltroni e Bassolino piuttosto che di Gargani. Quest´ultimo definisce tutti «noi che siamo figli di De Gasperi e Moro». Cercano la politica, la partecipazione, contro lobbies e cooptazioni, anche la Mazzoni e Vito, invocando come primo obiettivo obiettivo la riforma della legge elettorale, che Vito ritiene ai limiti della costituzionalità, e con la quale comunque entrambi erano stati eletti nella precedente tornata del 2006. Naturalmente il collante più immediato per tutti è la cacciata di Bassolino dalla Regione. Un obiettivo che è implicito nell´approccio di Pomicino, quando l´ex ministro invoca «una classe dirigente nella realtà territoriale» e batte sul tasto del confronto al fine di produrre proposte. Pensa a programmi precisi di governo Pomicino. Gargani gli cuce addosso un contesto tattico preciso: se persino Vito reclama che Forza Italia sia un partito «senza democrazia interna, dove i dirigenti vengono scelti per volontà divina», l´attuale presidente della commissione Giustizia a Bruxelles ha buon gioco a lasciare a Berlusconi l´onere del governo nazionale, legittimato dal voto, e a reclamare una «risposta politica» che può «ripartire nelle Regioni, a partire dalla Campania dove possiamo mettere assieme forze omogenee e alternative alla tragedia di un governo regionale di fatto commissariato da Berlusconi». Una chiamata a raccolta, sulla base di un «sentire comune» che ovviamente non appartiene all´usurpatore Bassolino. Uno che, parola di Gargani, «non ha il decoro che avevamo noi, non sente il bisogno di andarsene, è incredibile la sua faccia di bronzo, sono davvero allibito».
(R. F. da la Repubblica Napoli)
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