Antonino Cannavacciuolo |
Sarebbe il Bud Spencer della cucina italiana, se non fosse che non cucina fagioli e non ha angeli tra i suoi clienti (almeno non che si sappia). In comune con l’attore scomparso in questo necrologico 2016 Antonino Cannavacciuolo ha i natali napoletani (lo chef in realtà è di Vico Equense), lo sguardo da buono accovacciato dentro una fisicità traboccante, la tendenza a menar le mani. Cannavacciuolo è quella roba lì che la guardi in tv, ti sembra improbabile per dizione e ingombro ma poi non riesci a staccarti dallo schermo. Quando fa il quarto di Masterchef come fosse un poker da riempire. Quando conduce Cucine da Incubo e va nei ristoranti derelitti, con cuochi incapaci, ingredienti congelati, il maître che odia il padrone che odia il lavapiatti che odia il pasticciere e lui dopo aver assaggiato piatti da denuncia penale vorrebbe riempire di botte tutti quanti ma poi si limita a qualche pacca sulla schiena e alla fine salva il locale come un supereroe del sugo alla genovese. Perfino quando va a Sanremo e il bottone chiuso dello smoking tira come fosse la cinghia di un carro attrezzi che ti porta via l’utilitaria fa la sua figura, con la sua quintalata abbondante di sex appeal (sì, Cannavacciuolo è sexy. Mettiamocelo in testa noi metrosexual appena usciti da un’ora di tapis roulant). Cannavacciuolo è l’anti-Cracco, così sussiegoso e come-me- la-tiro.
E oggi è il più inconfondibile degli chef italiani. La sua cucina è forse tra le più decodificabili al grande pubblico, intrisa com’è di acqua pazza del Golfo di Napoli mischiata alla placida acqua dolce del lago d’Orta: piatti tradizionali, golosi, con porzioni spenceriane, perché quando si mangia si mangia. Il suo Villa Crespi è l’insegna stellata (lui di stelle ne ha due e ogni anno sembra debba arrivare la terza e ogni anno non accade) che noi consiglieremmo per chi volesse avvicinarsi al mondo dell’altissima gastronomia senza timori reverenziali. Uè, giù le mani, guagliò, è un complimento!
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