martedì 27 giugno 2017

Memorie di un autista vicano

di Filomena Baratto

Vico Equense - Il signor Saverio, avanti con gli anni, è stato un autista di pullman di linea e lo apprendo da quello che dice aspettando accanto a me. Dobbiamo arrivare entrambi a Massaquano e non possiamo fare a meno di diventare l’uno l’interlocutore dell’altra nell’attesa. I pullman sono tutti schierati davanti a noi alla stazione di Vico Equense e il nostro è il primo a dover partire ma il conducente ancora non si vede. Noto l’insofferenza per l’attesa del signor Saverio. Gli chiedo perché sbuffa e lui mi risponde che quando era alla guida dei pullman, mai un ritardo o un anticipo. Ora, dopo anni della sua puntualità, non sopporta attendere chi invece se la prende comoda. E’ rimasto a piedi per aver portato l’auto dal meccanico. Come si svolgeva allora la corsa? Quando guidavo io, che ho cominciato negli anni 60, era tutto più ordinato e più semplice. Un po’ per essere in pochi, poi non c’era questo boom di mezzi di trasporto che abbiamo oggi con tutto l’afflusso delle persone che viaggiano molto più di ieri. I passeggeri di una volta erano poche persone del posto e poi in gran parte turisti stranieri e allora, tra il 65 e il 70, erano i Francesi il gruppo più folto. Poi c’erano Inglesi e Tedeschi. Mi chiedevano indicazioni su tutto e dove scendere e io, nel mio piccolo, davo spiegazioni in italiano buttando qualche termine francese, reminescenza dello studio dai frati francescani. Com’erano allora i pullman di linea? Molto più complicati di quelli di oggi, dovevi saper guidare proprio bene per salire su per le colline con strade tortuose e ricche di tornanti. Ma erano affidabili, ancora di più con la bravura del conducente. Oggi sono diventati più piccoli, a misura di città, devono poter entrare in strade strette, scendere giù alla spiaggia e fare manovre in spazi molto ridotti.
 
Ci racconta un episodio accaduto che l’ha lasciata un po’ scosso? Ce ne sono stati diversi, ma ricordo con particolare tensione un episodio degli anni 90 quando ci fu un temporale mai visto prima, con un vento fortissimo. Oggi come allora vi erano due direzioni da poter prendere per salire sulle colline di Vico: la circolare destra che partiva da qui, la stazione, e si dirigeva verso Seiano, passava per Arola e poi tutti i paesi fino a Moiano e di lì scendeva di nuovo alla stazione per la Raffaele Bosco; l’altra circolare, quella sinistra, effettuava il percorso in senso inverso. Durante questa corsa, arrivato ad Arola, trovai la strada completamente invasa dagli alberi divelti dal vento: grossi tronchi ostruivano il passaggio e non sapevo come uscirne. Erano rimasti quattro passeggeri che mi guardarono con paura. Dissi loro che la corsa finiva lì, non c’era possibilità di fare altro. Un po’ spaventati scesero destreggiandosi tra le foglie, la pioggia e i tronchi, andando via non proprio convinti. Non restava che andare a retromarcia per duecento metri giungendo in un punto dove c’era un piccolo spazio per la manovra. La possibilità era data da pochi metri per girare. Il bigliettaio, mio amico, cominciò ad avere paura, giù c’era uno strapiombo senza protezione. In coda al pullman mi dava indicazioni per andare a retromarcia. Furono momenti difficili, se avessi sbagliato di un millimetro, ci saremmo trovati giù. L’amico in ansia, non riusciva ad essermi d’aiuto, io procedevo con tante piccole manovre. Alla fine, sulla strada del ritorno restammo muti per la paura. Quando giungemmo alla stazione, l’amico si lasciò andare a un pianto liberatorio come un bambino. Fu un’esperienza che ricordo con paura e anche piacere per quanto riuscii a fare del mio meglio. Qual è la cosa che cambierebbe oggi per poter guidare serenamente? Oggi c’è bisogno di una maggiore attenzione da parte dell’amministrazione, per il manto stradale, per la segnaletica, per il ripristino veloce dei lavori, che sempre si trovano sulle nostre strade. Certo che la struttura del territorio non permette di fare grandi strade, non sarebbero nemmeno in sintonia col paesaggio e si deve rispettare l’ambiente. Cosa ricorda dei passeggeri di allora? I passeggeri di allora erano i vicini, i parenti, gli amici, qui è una grande famiglia, ci si conosce tutti. Durante la corsa si aveva il tempo di scambiare qualche chiacchiera, di salutarci, di chiedere notizie di persone che non vedevamo da tempo… Ogni volta che scendeva un passeggero, lo si salutava per nome e poi, arrivati a casa, raccontavi le notizie apprese. Il dialogo, scambiare pareri, parlare durante la corsa era un modo per sentirsi più vivi, svolgendo il lavoro con maggiore interesse. E bando alla scritta “Non parlare al conducente”, qui parlare è vita. Quante persone ho ritrovato che mancavano da tanto nella mia vita, durante le corse sui pullman. Potrei raccontare tanti episodi che ormai mi riscaldano la memoria. Come si conosce un buon autista di linea? Deve saper guidare e con questo intendo saper portare i passeggeri. Il pullman è una casa, si deve muovere con grazia, deve fare in modo che i passeggeri amino il paesaggio che intravedono dal finestrino con l’andare piano. Nel pullman si osserva molto, si ha tempo di riflettere e l’autista è il regista di tutto questo. Deve guidare senza scossoni tra freno e frizione, cortese sempre, attento e vigile alla strada. L’azienda in questo mi ha sempre premiato per la guida affidabile, perché vede, il vero problema non è solo quello di non fare incidenti, ma quello di non indurre gli altri sulla strada a fare manovre azzardate. Sul pullman bisogna essere professionisti del motore, conoscere la meccanica del mezzo, guidare con prudenza e grande pazienza. Sicuramente, tra le tante qualità del conducente, la pazienza è la prima. Cosa direbbe all’autista che adesso la fa salire sul pullman in leggero ritardo? Cosa vuole che gli dica, tutt’al più sapere il motivo per cui ha fatto tardi. Ma conoscendo quello che si fa prima di salire, posso essere anche permissivo. Questo è un lavoro sedentario, che ti incolla sul sedile per tante ore e ti chiude al mondo. Tu vivi da seduto come affacciato a una finestra e a volte vivi anche attraverso gli altri: i loro sorrisi, le loro apprensioni, i loro sguardi fugaci pieni di domande, le loro malinconie. Ci portano la vita nel pullman, possiamo solo tenerne conto e vivere anche noi in silenzio le loro emozioni. Ritornerebbe su un pullman? Il pullman è stata la mia vita per più di quarant’anni ed è un mondo che conosco bene. Ma dopo tanti anni chiuso dentro questa casa, adesso voglio vivere all’aria aperta. Faccio la mia vita tra mare e monti, proprio come ci insegna questa terra. L’aria buona, la genuinità dei prodotti, la bellezza di questo clima ci ha resi intenditori della vita anche alla mia età. Questa è un luogo dove si vive di ritmi lenti e profondi. Non cambierei la mia terra per nessun’altra al mondo. La ringrazio per la gentilezza che mi ha usato nel raccontarmi queste sue esperienze e la saluto, siamo arrivati. Grazie a lei e buona giornata.

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