Chiesa di Sant'Agnello |
Fonte: Ciriaco M. Viggiano da Il Mattino
Sant’Agnello - Guerra doveva essere e guerra sarà. A colpi di carte bollate, s’intende. Perché la frattura tra i fedeli che chiedono di eleggere il nuovo parroco secondo un diritto che risale a circa 800 anni fa, e l’arcivescovo Francesco Alfano, “reo” di non aver aperto le urne all’indomani delle dimissioni di don Natale Pane, non sembra destinata a ricomporsi. Prova ne è il ricorso che i sostenitori del diritto di patronato alla congregazione per il clero: l’obiettivo è ottenere l’annullamento della nomina di don Francesco Iaccarino ad amministratore parrocchiale e l’avvio di nuove elezioni. Tecnicamente si tratta di un ricorso gerarchico, cioè di un atto col quale i fedeli chiedono la revoca o l’annullamento di un provvedimento firmato dall’arcivescovo all’autorità a lui sovraordinata. Ecco perché il ricorso è indirizzato alla Congregazione per il clero, l’articolazione della Curia romana che si occupa di tutto ciò che riguarda presbiteri, diaconi, comunità e ordini religiosi. Saranno ora i membri di questo consesso, diretto dal cardinale Beniamino Stella, a decidere se la nomina di don Francesco Iaccarino alla guida della parrocchia dei Santi Prisco e Agnello sia legittima o meno. Nel ricorso, stilato dall’avvocato Domenico Balsamo, i fedeli ribadiscono che ritengono “l’arbitraria decisione assunta dall’arcivescovo di Sorrento contraria al diritto di patronato riconosciuto dalla Santa Sede”.
Quella di Sant’Agnello rientra infatti tra le 21 parrocchie al mondo, di cui sette in penisola sorrentina, alle quali è attribuito il privilegio di individuare la propria guida spirituale a suffragio universale e diretto: un istituto introdotto da papa Alessandro III nel 1200 a favore dei nobili che restauravano a proprie spese chiese e conventi e successivamente esteso alle comunità che provvedevano direttamente alla costruzione ed alla manutenzione dei luoghi di culto. “In realtà – precisa Rosario Salerno, sostenitore del diritto di patronato – non si tratta di un privilegio, ma di un diritto nato da un antico accordo tra Curia e fedeli.” La genesi di questo patto è illustrato nel ricorso che risale al 1822, quando un editto di re Ferdinando invitò i patroni a pagare il dovuto per il mantenimento del clero. Le sette parrocchie della penisola sorrentina si opposero ed a quel punto i vertici della Chiesa locale intervennero per evitare che i fedeli perdessero la facoltà di eleggere il parroco. In che modo? Vincolando le rendite delle comunità all’integrazione delle doti, così come imposto dal sovrano. Nell’archivio della Curia sorrentina sono conservati gli atti notarili con cui fu sancito l’accordo e che nel 1822 in poi, sono sempre stati inseriti nella pratica di elezione dei vari parroci. “Quelle rendite – è scritto nel ricorso – vincolate alle necessità delle parrocchie esistono e ancora producono reddito, sicché il diritto di patronato resta e non può essere revocato se non sulla base di un preventivo accordo con i fedeli. Non si comprende per quale motivo un’intera comunità, dopo circa 800 anni, debba essere improvvisamente privata del diritto di scegliere il proprio parroco”. A supporto del ricorso gerarchico alla Congregazione per il clero, i sostenitori del diritto di patronato hanno dato il via a una raccolta di firme. Decine i santanellesi che nel giro di poche settimane, hanno aderito all’iniziativa. “L’obiettivo – spiega Raffaele Di Palma – è quello di far conoscere questo tratto caratteristico della storia locale evitando che cada nel dimenticatoio.”
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