venerdì 19 settembre 2008

Partito democratico, voltiamo le spalle ai «padroni delle tessere»

Dopo un lungo periodo di letargo o di «splendido isolamento» il Partito democratico torna agli onori della cronaca ma non per la sua progettualità politica quanto piuttosto per l'altrettanto delicato problema organizzativo. Entro la metà di ottobre dovrebbe essere completata la sua fase costituente con la costruzione dei nuovi organismi territoriali, dalla scala municipale a quella provinciale. Si tratta di un processo di notevole rilevanza che dovrebbe rappresentare la risposta concreta alla pressante esigenza di costruire una nuova forma partito in grado di offrire, da un lato, una effettiva partecipazione democratica e, dall'altro, di porsi come luogo di elaborazione di risposte alla nuova complessità che caratterizza i processi economici e sociali della nostra regione. Ma, in verità, gli avvenimenti degli ultimi giorni e le conseguenti polemiche circa le modalità del tesseramento lasciano pensare che si sia già smarrito quello che sembrava un valore condiviso da tutti i protagonisti dell'ultima campagna elettorale. Il risultato è un ritorno al passato, ovvero al tendenziale protagonismo dei cosiddetti «padroni delle tessere» il che renderà i nuovi circoli territoriali nient'altro che delle semplici fotocopie delle vecchie sezioni, sostituendo le insegne tradizionali con quelle della «nuova gestione». In questi giorni è riapparso l'attivismo dei professionisti del consenso finalizzato alla composizione delle liste per le cosiddette «primarie» in funzione delle percentuali da attribuire alle diverse componenti (ex Ds, ex Margherita, ex Popolari, eccetera) in altri termini al potere dei singoli personaggi già impegnati nella gestione della cosa pubblica. Il che si traduce in una chiusura totale al variegato mondo delle organizzazioni che si muovono anche con grande dignità culturale ai margini della società politica e che esprimono molto spesso professionalità, conoscenze e competenze che la modernità impone all'attenzione della politica ed ai processi decisionali che essa è deputata ad esprimere. Solo qualche proposta di mini quote di partecipazione, magari coinvolgendo figure di alto profilo che possano fungere da copertura ad una restaurazione strisciante e ad una miope visione politico-culturale. Di fronte a tale oggettivo pericolo che appare come l'esatto contrario delle nobili intenzioni iniziali dove sta e come si pone quella componente della nuova classe dirigente formata da scienziati, rettori e presidi di facoltà universitarie che pur è stata selezionata in Campania nell'ultima tornata elettorale? Sono stati già cooptati nei vecchi meccanismi che tendono a normalizzare tutte le espressioni della modernità o piuttosto sentono il dovere di interpretare il loro ruolo di rappresentanti delle tante intelligenze e competenze che esprime il «popolo delle primarie»? Ad essi tocca la più delicata delle funzioni degli eletti, ovvero la necessità di riproporre una forte tensione ideale in contrapposizione al dilagante cinismo costruito sull'alibi di un pragmatismo che punta al benessere della «casta», grazie agli intrecci perversi tra gestione politica, istituzioni e mondo degli affari. Questa sensibilità che oggettivamente esiste, seppure minoritaria dal punto di vista quantitativo e per i ruoli ufficiali che ricopre, faccia sentire forte la sua presenza imponendo effettive forme di partecipazione democratica tali da ridare dignità politica a quel «popolo delle primarie» che non solo è sfiduciato ma soprattutto si sente tradito e strumentalizzato. Gennaro Biondi da il Corriere del Mezzogiorno

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