«Ma quanti ne arrestano?». «E chi lo sa. Il Mattino dice che sono venticinque ». «Ci sono nomi?». «No, non mi sembra». I chierichetti stanno risalendo la navata con le ostie per la comunione, l'organo suona. I sussurri arrivano dal gruppo di uomini in giacca e cravatta, schiacciati tra il portone e la fonte dell'acqua santa. Tra loro c'è il deputato Pd Bruno Cesario, si riconosce il coordinatore regionale Tino Iannuzzi. «Ma quando dovrebbe succedere?». Uno del gruppo alza gli occhi verso il crocifisso. «Boh». C'è stato questo rumore di fondo per tutta la durata della cerimonia. L'inchiesta sulla Pubblica amministrazione campana, la bufera che tutti danno ormai in arrivo, ha ingiustamente fatto da convitato di pietra tra gli uomini politici venuti a salutare Giorgio Nugnes. Ha creato uno iato emotivo tra loro e gli altri, quelli che invece erano qui con la testa piena solo di ricordi e commozione, senza altri pensieri ad interferire. Le indagini, l'intenzione della Procura di aprire un fascicolo per istigazione al suicidio al fine di acquisire file e tabulati telefonici dell'ex assessore alla Protezione civile e ricostruire così i suoi ultimi giorni. Confabulavano anche di questo, i suoi colleghi. Come se la piega degli eventi avesse preso una velocità tale da non consentire di fermarsi neppure ad un funerale. «Un'atmosfera surreale», l'ha definita il consigliere regionale di An Pietro Diodato, e ha ragione. Le immagini che dovrebbero restare dell'ultimo viaggio di Giorgio Nugnes sono invece altre. Quelle di suo figlio Andrea, solo 12 anni, che singhiozza e tiene il capo chino mentre entra in chiesa, con il fratello Tommaso che lo accarezza, gli fa coraggio. Di Rosa Russo Iervolino, che non riesce a trattenere lacrime di sincero dolore. Delle duemila persone che traboccavano nella piazza e nei vicoli intorno, una partecipazione composta e per nulla rabbiosa, a parte due esagitati che sul sagrato hanno inveito contro il sindaco. «Lo avete lasciato solo», ha urlato un ragazzo con giubbotto rosso fuoco e cappello nero di lana. «Lui sì che era un uomo vero», ha aggiunto un tizio più maturo. Tutte qui le tensioni annunciate. Anche la caccia al giornalista, data da tutti come inevitabile corollario del funerale, si è risolta in qualche sguardo storto. Negli ammiccamenti di approvazione ai due «contestatori » e alle parole di don Claudio. Dall'altare della parrocchia restaurata due anni fa proprio su iniziativa di Nugnes, il sacerdote ha pensato di rendere omaggio alla sua memoria attaccando i media: «Spegnete la televisione, quello che raccontano con parole unilaterali e fuorvianti non risponde alla verità su un uomo che ha sempre fatto del bene a questo quartiere». Intanto i politici locali parlavano fitto a voce bassa, alcuni rappresentanti dell'opposizione campana per quasi tutta la durata della funzione hanno inviato messaggi dal cellulare. «Non è venuto, hai visto? ». L'assenza dell'ex assessore al Bilancio Enrico Cardillo, che in una intervista a Il Mattino aveva ricordato la sua «amicizia vera e profonda» con Nugnes, veniva commentata con toni da oracolo. Erano mischiati tra loro, insieme nelle prime file dei banchi oppure in fondo alla navata. Salvo rari casi, l'impressione generale era quella di una partecipazione distratta. La veduta di insieme di una classe dirigente chiusa, ripiegata su se stessa. C'erano quasi tutti a salutare Giorgio Nugnes, ma era come se fossero altrove. (Marco Imarisio da il Corriere della Sera)
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