Regione Campania - Non c’è emozione, né nostalgia. L’addio alla Regione di Antonio Bassolino non ricorda neanche lontanamente manzoniani saluti. Sarà che la caduta degli dèi preoccupa più i semidèi che gli dèi stessi. Bassolino, tanto per marcare il territorio, conclude il suo intervento con una frase che apre ai classici scenari per il dopo-Iervolino: «Come diciamo a Napoli, le belle stagioni possono ritornare». Pausa: «Magari con forze più fresche, ma io continuerò a lavorare per questo». Per l’ex governatore, il centrodestra campano è rappresentato dalla Provincia: «Qualcuno può occuparsi della Provincia? Fare un minimo di opposizione degna di questo nome? Dire come stanno veramente le cose?». Dal nuovo governo regionale pro-condoni e anti-San Carlo: «Vedrete che differenza c’è tra chi vuole condonare qualsiasi cosa, nelle zone più belle della nostra regione». E sul Massimo napoletano: «Una pupilla gloriosa. Noi seguiamo con attenzione la vicenda. Abbiamo investito 65 milioni di euro per il restauro più grande che sia stato mai realizzato. A questa città spetta un teatro di serie A». Ci sono quasi tutti i protagonisti dei sedici anni e mezzo (non si dica diciassette, per carità) bassoliniani. A cominciare da Mauro Calise, cappello a larghe tese calato sul viso, il suo portavoce che per la prima volta prende la parola, Mario Bologna, il direttore del Madre, Eduardo Cicelyn, il fidato Marino. Le giunte e gli assessori che si sono avvicendati, da Valiante, a Cascetta, ai fratelli Santangelo, Cundari, Nappi, Allodi, Forlenza, Marone, Cozzolino, Buffardi, Aita, Alois, Bocchino, Furfaro. Mancano gli ex, scontato. Mancano Angelo Montemarano e Isaia Sales. Il segretario del Pd, Enzo Amendola, passa e se ne va. C’è un fastidioso vociare durante gli interventi di Bologna e Valiante. Cala il silenzio quando parla «’o sindaco». Bassolino ripercorre politicamente i due mandati a Palazzo San Giacomo e i due a Santa Lucia: «Noi vincevamo quando altrove si perdeva. Poi si è scatenato un fuoco potente, avversario e amico. Un folle e suicida fuoco amico. Vi sarà tempo di una valutazione vera, ma basta con le campagne elettorali contro noi stessi come è avvenuto in questi anni. Discontinuità e cambiare tutto (slogan di Luigi Nicolais e Vincenzo De Luca, ndr) sono solo parole propagandistiche». Parla e parte dalla cultura. Classica e moderna, dal rovesciamento dello stereotipo Napoli, pizza e mandolino. Dal Pan e dal Madre. «Tutto questo lo sottolineo— spiega — perché questa visione colta si scontrerà con i condoni, con i tentativi di restaurazione e di ritorno a prima del ’93 che ci sono nel centrodestra e non solo». Poi il nuovo meridionalismo, il partito del Sud, la Lega. «Chi comanda oggi con Berlusconi — dice — è la Lega. Che è forte perché ha organizzato un partito sul territorio, con gli amministratori. Nella Lega sindaci e amministratori sono i benvenuti, non sono il nemico. Nel ’96, quando il Sud era virtuoso noi sindaci tentammo, ma non trovammo voce né una sponda in un nuovo partito. La Lega è forte perché ha un’identità, mentre la nostra identità non ha mai trovato un partito in cui crescere. Se il Pd e la sinistra vogliono uscire dalla crisi, devono ripartire dal basso». E ancora: «Dal Sud ci sono spinte e più la Lega cresce più aumenteranno queste spinte. Si parla di partito del Sud. Io non credo sia la strada giusta, ma tra il partito del Sud e l’attuale situazione c’è un mare da solcare. Non possiamo essere burocrati, dobbiamo essere curiosi. È tempo di rimboccarsi le maniche anche per me che ho vinto quattro volte e non ho mai dato lo sfizio al centrodestra di battermi». E conclude: «Lo dobbiamo fare nel modo giusto. Non dobbiamo invecchiare dentro, come Pietro Ingrao che continua a torturarmi. Ognuno di noi deve avere un ruolo. Io lo avrò con la mia fondazione. Perché siamo entrati a San Giacomo e Santa Lucia lindi e puliti e siamo usciti lindi e puliti». Nella sala della Stazione marittima c’è una sola sigla, Sudd. (di Simona Brandolini da il Corriere del Mezzogiorno)
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