Maria Guida |
Vico Equense - Un’italiana quarta nei 10000 ai Mondiali: capitò ai Mondiali 1995 di Goteborg, quando Maria Guida finì ai piedi del podio, dietro Fernandinha Ribeiro portoghese e Derartu Tulu etiope, non lontano dalla piccola, ossuta, vivacissima kenyana Tegla Loroupe. Nei giorni dei trionfi di Michele Didoni e di Fiona May, del luminoso record di Jonathan Edwards, del rimbalzare mai battuto di Inessa Kravets, Maria non ebbe grande spazio né lei si fece avanti per reclamarlo: la riservatezza, le poche parole sono state caratteristiche da affiancare a una sorte mai propizia. Quante operazioni al tendine d’Achlle? “Quattro, forse cinque”, offriva lei un sorriso rassegnato, senza insistere troppo sulla mestizia. Il Tendine di Maria, dovrebbero chiamarlo i medici. A quel punto Maria aveva quasi 29 anni e quattro anni dopo, vicina ai 33, seppe doppiare un altro promontorio: dopo esser stata la prima italiana a scendere sotto i 15’ e i 31’30”, diventò la seconda, dopo Franca Fiacconi in formato newyorkese, a intaccare le 2h26’ nella maratona: 2h25’57” a Carpi. Sembrava il coronamento di una vita di corsa iniziata nelle strade della cittadina natia, Vico Equense, dove il patrono è San Ciro. Quando Maria venne al mondo, il record del mondo di maratona era appena al di là delle 3h20’. E invece non andò così e oggi, nel giorno del 50° compleanno, non resta che rivivere il suo giorno più lungo e più bello, una rappresentazione in un teatro bavarese in un’estate che profumava forte di autunno, in un Europeo 2002 che cadeva trent’anni dopo i Giochi degli acuti e degli orrori, su un percorso affascinante: i luoghi della città ideale voluta dai re di Baviera, matti per l’architettura e per la musica, gli edifici in stile greco che racchiudono una piazza che assomiglia a un’Acropoli, i palazzi pseudo-rinascimentali e rococò, la Vecchia e la Nuova Pinacoteca, il viale verso l’Olympiapark e il grande telone che copre lo stadio: Maria davanti, sempre di testa e con la testa, sino a rimanere in compagnia della tedesca di radice romena Luminita Zaituc per liberarsi anche di lei nel finale, affibbiarle 53”, andando a sfiorare il record personale: 2h26’05” contro 2h25’57”.
Quella vittoria le regalò il coronamento di una carriera (aveva 36 anni e mezzo abbondanti), le permise di scavalcare, per qualità di metallo, uno dei simboli della maratona rosa e azzurra, Laura Fogli, di risollevare morale e azioni di una spedizione troppo numerosa, con eliminazioni a falangi, di confermare la supremazia delle donne: i due bronzi di Manuela Levorato, quello di Erica Alfridi e l’oro della veterana di dolci espressioni e poche parole, solo quelle necessarie. Come quelle che, dopo il traguardo, rivolse a Luciano Gigliotti che aveva puntato su di lei e naturalmente non aveva sbagliato.
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