di Anna Guarracino
Sant'Agnello - Quante volte abbiamo sentito, soprattutto noi napoletani, l’espressione “Caffè
sospeso”! Addirittura Luciano De Crescenzo ne ha parlato in un suo libro
spiegandone il significato.
Ma chi mai ha sentito parlare di “Presepe sospeso”?
Si trova nella Chiesa della Natività di Maria Vergine ai Colli di Fontanelle e l’ha ideato
Don Tonino De Maio con alcuni parrocchiani, suoi aiutanti.
Ormai noi del paese siamo abituati alle sue sorprendenti creazioni, soprattutto
natalizie, ma ogni volta lo stupore aumenta: c’è sempre in esse qualche elemento di
novità che attira la nostra attenzione e ci induce a riflettere sul messaggio evangelico
implicito, ben sapendo che egli va oltre ciò che semplicemente mostra.
Spiegare questo “Presepe sospeso” è difficile perché le parole non possono rendere
l’impatto emozionale che si prova entrando in chiesa e trovarsi subito sotto al
presepe e contemporaneamente nel presepe.
Difatti, esso è posto in alto, sospeso in aria!
Per guardarlo bisogna passare sotto una strada di luce e un cielo stellato e ammirare
dal basso il passaggio dei pastori, che, dall’entrata della chiesa, si dirigono verso la
capanna, collocata sull’altare, al centro della navata principale, dove ad attenderli c’è
la luce delle luci, Gesù Bambino che brilla, ancora di più, su tutto e su tutti.
E’ un tripudio di luci ma anche di effetti ottici che cambiano a seconda della
posizione in cui si sta in chiesa: guardando il presepe dall’altare si nota l’avanzare dei
pastori verso la capanna, ma, se si osserva lo stesso dall’entrata, si vedono i pastori
andar via e ritornare, per la stessa strada, verso le proprie abitazioni... verso la vita
di ogni giorno.
Questo scenario, veramente inusuale, ha ancor più senso se si considera il significato
religioso, apparentemente implicito, che don Tonino gli ha attribuito.
Lo ha spiegato dall’altare durante l’omelia e ci ha indotto così ad un’interpretazione
più spirituale e più profonda di quanto avevamo dinanzi.
Il presepe -ha detto- non deve essere il risultato di un rituale monotono che si ripete
per tradizione ma ci deve ricordare l’essenza della nostra fede che non si esprime in
un giorno ma in una vita intera, trascorsa camminando sulla strada indicata da Gesù,
in conformità di quanto raccontato nel Vangelo (strada della luce).
In questa ottica, i pastori siamo noi fedeli nell’atto del cammino della nostra vita e
l’andata verso la capanna rappresenta la nostra appartenenza e devozione alla fede
cristiana e il ritorno indica il nostro agire nella pratica quotidiana in qualità di figli di
Dio.
“In-stradà-ti”, inteso come immissione sulla strada dell’amore, sull’esempio di Cristo,
è dunque il punto centrale del discorso poiché è sulla strada che mostriamo quanto
siamo cristiani coerenti.
Lo ha dimostrato per primo Gesù, nella sua vita terrena, quando sulla strada ha
soccorso i bisognosi; in strada ha incontrato la Samaritana; in strada ha percorso la
via del Calvario.
Anche noi camminando per strada dobbiamo rivolgere l’attenzione a chi ha bisogno
di noi: ai poveri, ai profughi e, spesso, agli ultimi, “scartati” dalla società, che per
Cristo, invece, sono “pietre d’angolo”.
Un compito non facile ma in sintonia con l’invito di papa Francesco di andare verso
le periferie esistenziali piuttosto che fermarsi davanti alla capanna o starsene
soltanto nelle chiese.
Queste considerazioni associate alla struttura originale ed artistica del prodotto,
elevano questo presepe ad opera metaforicamente trascendentale, tanto che
nessuno può guardarlo senza porsi domande sull’essenza della propria cristianità.
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