giovedì 17 giugno 2010

Pd campano in coma che altro aspettare?

Regione Campania - La sconfitta alle regionali, con calo consistente rispetto alle precedenti (con Ds e Margherita quasi al 30%), poteva essere per il Pd a Napoli occasione per una riflessione seria. A distanza di più di due mesi, invece, non solo non si è aperta nessuna discussione ma continua una fase di forte paralisi. È ancora rinviato il congresso provinciale per la nomina degli organismi dirigenti e del segretario provinciale. Non poca cosa, visto che parliamo di un bacino di quasi tre milioni di persone. C'è, a quanto mi risulta, un calo di iscritti rispetto all'anno precedente. A Napoli, ci troviamo di fronte ad un partito che da quasi due anni è commissariato, da Enrico Morando, torinese, eletto in Veneto, designato dal segretario Veltroni. La paralisi che blocca finanche la nomina del capogruppo in Consiglio comunale a Napoli è imbarazzante e mostra il volto di un partito che ha molte "anime", intese come correnti interne, ma che non riesce ad avere un'anima. Prigioniero di dinamiche localistiche e di corrente, il partito nato per cambiare l'Italia non solo non è adeguato per contrastare la destra, ma nemmeno per discutere della propria azione di governo locale. Eppure credo sia evidente anche ai cittadini meno avvezzi alla politica, che è autolesionismo puro continuare la competizione di correnti. È impossibile rilanciare la nostra azione politica se il Partito Democratico non supera i propri limiti. È indispensabile superare la logica del "partito liquido" per darsi forme più partecipative ed incisive di organizzazione e di rappresentazione della società, per fare dell'iniziativa politica tra e con i cittadini un impegno permanente. Per questo avverto, e penso di essere in buona compagnia, come non rinviabile il rinnovamento dei gruppi dirigenti. Un rinnovamento non anagrafico (o non solo), ma politico che individui con chiarezza le responsabilità di chi deve guidare il secondo partito del paese. Un gruppo dirigente scelto sulla base di criteri di capacità, credibilità, rappresentatività, etica della responsabilità e non in base al peso delle tessere "governate" da questa o da quella corrente. A Napoli, il commissariamento poteva essere giustificato come fase "ponte" che traghettasse il partito verso il rilancio e che gettasse le basi per un nuovo rapporto con i territori. Oggi, invece, si è paralizzati in un debole equilibrio di poteri di corrente. Un partito è vincente se ha la capacità di proporsi come "sindacato del territorio" che sa raccogliere gli interessi e i disagi delle comunità, senza inseguire il populismo che cavalca i sentimenti dell'antipolitica. Bisogna trovare il modo di promuovere le realtà locali e tutti gli attori del complesso tessuto urbano, avviando una nuova stagione della cittadinanza attiva. Recuperare lo spirito del 1993 quando la stagione dei sindaci destava entusiasmo e stimolava la partecipazione. Aspettare oltre significa rassegnarsi a morire lentamente. Significa rassegnarsi ad un partito che parla a settori sempre più recintati e ristretti della popolazione, perdendo il contatto con le nuove generazioni, con i bisogni vecchi e nuovi della nostra gente. Significa non esistere se non nei luoghi del governo amministrativo. E invece, solo tornando nella società per imparare di nuovo a conoscerla possiamo riconquistare il consenso dei cittadini. Ma per questo, non abbiamo bisogno di commissari, ma di dirigenti, seri, capaci e affidabili, selezionati attraverso le procedure democratiche di un partito che di democratico non può avere solo il nome. (di Samuele Ciambriello da il Mattino)

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