Fonte: Gian Antonio Stella da il Corriere della Sera
«Nei Paesi evoluti non si protesta contro la Casta, ma contro Wall Street», ha detto Massimo D’Alema infastidito dalle polemiche sugli eccessi della politica. Tiriamo a indovinare: che sia perché il Parlamento costa a ogni americano 5,10 euro, a ogni inglese 10,19, a ogni francese 13,60, a ogni italiano 26,33? 0 perché un consigliere regionale lombardo come Nicole Minetti o Renzo Bossi prende quanto i governatori di Colorado, Arkansas e Maine insieme? O sarà perché secondo la «Tageszeitung» l’assessore provinciale alla sanità di Bolzano guadagna circa seimila euro più del Ministro della Sanità tedesco? O perché un dipendente del Senato costa mediamente 137.525 euro lordi l’anno cioè 19.025 più dello stipendio massimo dei 21 collaboratori stretti di Obama? Bastano pochi dati a dimostrare quanto sia un giochetto peloso spacciare la difesa di certi spropositi con la difesa della democrazia. Se la Camera spende oggi per gli affitti delle sue dependance 41 volte di più di trent’anni fa cosa significa: molte più spese, molta più democrazia? Il quotidiano sgocciolio su questo tema di parole acide, permalose, stizzite dimostra come l’idea di Monti che la politica debba dare «un segnale concreto e immediato» sui suoi costi non sia stata affatto digerita. Anzi. E col passare dei giorni e il crescere del nervosismo dei cittadini intorno al mistero sui sacrifici in arrivo, diventa sempre più urgente quel segnale di forte discontinuità invocato e promesso. Prendiamo i vitalizi parlamentari. La Camera ha deciso a luglio e il Senato giorni fa che dalla prossima legislatura non ci saranno più. Meglio: saranno sostituiti per i prossimi parlamentari da qualcosa di diverso. A naso, una pensione integrativa calcolata sui contributi versati come accade ai comuni mortali dalla riforma Dini di 16 anni fa, quando la classifica marcatori (siamo nel giurassico) fu vinta da Igor Protti. A naso, però. Perché la decisione «vera» sarà presa da una «apposita commissione».
E mai come in questi casi gli italiani temono che avesse ragione Richard Harkness spiegando sul New York Times che «dicesi Commissione un gruppo di svogliati selezionati da un gruppo di incapaci per il disbrigo di qualcosa di inutile». Ci sbagliamo? E l’augurio di tutti. Ma, come riconosce la più giovane dei deputati italiani, Annagrazia Calabria, l’intenzione di abolire i vitalizi dalla prossima legislatura è «del tutto insufficiente, se non inadeguata», rispetto alla gravità del momento. Ogni ritocco alle pensioni (e girano voci di interventi dolorosi) sarebbe assolutamente inaccettabile se avvenisse un solo istante prima di una serie di tagli veri ai vitalizi e agli altri assegni pubblici privilegiati. E non si tirino in ballo i «diritti acquisiti»: quelli dei cittadini sono stati toccati più volte. Prendiamo il blocco dell’adeguamento automatico all’inflazione: potrebbero i pensionati accettarlo se prima (prima!) non fosse smentito che i dipendenti del Quirinale (i quali solo nel 2011 hanno perduto un po’ di privilegi) godono dell’aggiornamento pieno come fossero ancora in servizio? Vale per tutti: tutti. Certo, come migliaia di pensionati-baby, anche chi è finito sui giornali per certi vitalizi altissimi, da Lamberto Dini a Giuliano Amato, da Publio Fiori a Gustavo Zagrebelsky, può a buon diritto dire «non ho rubato niente, la legge era quella». Vero. Se andiamo verso una stagione di vacche magrissime, però, chi ha avuto di più sa di avere oggi anche la responsabilità di dare di più. Qualche caso finito sui giornali ha già dimostrato che formalmente non è possibile rinunciare a una prebenda e comunque non ha senso che lo Stato chieda al singolo gesti di generosità individuale che non possono che essere «privati»? Si trovi una soluzione. Ma, con la brutta aria che tira in Europa e coi nuvoloni che si addensano da noi, l’intera classe dirigente a partire dallo stesso Mario Monti non può permettersi neppure di dare l’impressione di tenersi stretti certi doni, oggi impensabili, di una stagione che va dichiarata irrimediabilmente finita.
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