di Alessio Gemma - La Repubblica Napoli
Napoli - Hanno concesso una indennità extra di 40 mila euro annui ai loro "portaborse". La Procura della Corte dei conti cita in giudizio 17 soggetti: 7 sono consiglieri regionali in carica, gli altri 10 sono ex consiglieri (sei) o alti dirigenti del consiglio regionale. Chiusa l'indagine, ora vanno tutti a processo con l'accusa di aver elargito quelle " prebende" con soldi pubblici. Udienza il 26 giugno, alla vigilia delle elezioni regionali a cui quei consiglieri vorrebbero ricandidarsi. Chiamati a rispondere alle prime contestazioni della Procura contabile guidata da Antonio Giuseppone, un gruppo di consiglieri si è difeso definendo l'esborso "un atto di autorganizzazione dell'ufficio di presidenza del Consiglio regionale". Ai magistrati Mauro Senatore e Davide Vitale quel " passaggio" non va giù: nella citazione lo definiscono "criptico, non motivato, onestamente oscuro a chi legge, se non come dogmatica espressione della sindrome del Marchese del Grillo". E i pm contabili inseriscono nelle carte un link che rimanda alla frase resa celebre da Alberto Sordi: " Io sono io, voi non siete nulla". È, secondo i magistrati, l'atteggiamento adottato dai consiglieri di fronte all'inchiesta che contesta 3,6 milioni di indennità riconosciute, dal 2019 al 2022, a " responsabili di segreteria delle commissioni consiliari e ai coordinatori amministrativi dei gruppi consiliari". Dipendenti, alcuni comandati - cioè provenienti da altri enti o società partecipate - pagati come dirigenti.
Anche se in alcuni casi non avevano neanche la laurea. A rispondere del presunto danno erariale sono il presidente del consiglio Gennaro Oliviero, i consiglieri Massimo Grimaldi, Loredana Raia, Valeria Ciarambino, Andrea Volpe, Fulvio Frezza, Alfonso Piscitelli, gli ex consiglieri Rosa D'Amelio, Antonio Marciano, Vincenzo Maraio, Flora Beneduce, Ermanno Russo, Tommaso Casillo, e i dirigenti Santa Brancati, Lucio Varriale, Mario Vasco, Maria Salerno. La storia delle buste paga d'oro affonda le radici nel 2002 e 2003: all'epoca due leggi regionali stabilivano una serie di emolumenti. Fino al 2019 quando la Corte costituzionale definì quelle retribuzioni illegittime: perché " il trattamento dei dipendenti pubblici è materia statale" e non regionale. Cancellate le due leggi campane, si è continuato a erogare le indennità. Come? Con delibere dell'ufficio di presidenza: " Un delitto perfetto", scrivono i pm contabili. Dall'indagine condotta dal Nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza, guidato dal colonnello Paolo Consiglio, è emersa "la spinta politica" dietro quelle indennità. Tant'è che una dirigente interna che si era opposta, ha dichiarato ai magistrati: « È possibile che il mio immediatamente successivo cambio incarico sia conseguenza dell'attività da me svolta». Sono stati sentiti dagli inquirenti anche alcuni dipendenti che hanno ammesso: « I responsabili di segreteria non facevano nulla di più di un funzionario. La loro retribuzione? Sproporzionata per le funzioni attribuite». I magistrati contabili insistono: "Ciò che viene sindacato non è l'introduzione di tali figure di supporto, quanto piuttosto l'inquadramento professionale configurato e le modalità di determinazione del trattamento economico". Di fronte all'autonomia delle scelte rivendicata dai consiglieri - alcuni dei quali rappresentati dagli avvocati Roberto De Masi e Felice Laudadio - la Procura ribatte nell'atto di citazione: "Non si può riconoscere al potere insindacabile di autorganizzazione del consiglio regionale, riconducibile alla Costituzione, un contenuto tanto ampio da ritenere coperto da immunità qualsiasi atto, e ciò in aperto contrasto con l'univoco orientamento della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale".
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