Vico Equense - La storia del salumiere di Vico Equense, che nel suo negozio - tra panini, salami e prosciutti - espone immagini che ritraggono Mussolini e vecchi fogli di giornale ormai ingialliti che rievocano imprese del Ventennio, fa male. Fa male che tanta esibizione passi nell'indifferenza generale. Fa male il silenzio di chi ci amministra su questa vicenda che mortifica l'immagine della nostra città. Mancano pochi giorni al 27 gennaio, giorno della memoria. Come gli anni precedenti, sarà un tripudio di commemorazioni. Ricordare la Shoah è un dovere morale che ci riguarda tutti. Perché, come ricorda Liliana Segre, “quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c'è limite all'orrore. L'indifferente è complice”. E Vico Equense andrebbe ricordata per ben altri fatti. Scoprire, diffondere e tramandare le storie e le memorie di quanti, cittadini vicani, viventi o defunti, abbiamo avuto esperienze di deportazione a qualunque titolo nei campi di concentramento durante la Seconda guerra mondiale. In tantissime realtà locali vengono organizzate iniziative per recuperare la memoria della Shoa, che ha segnato così profondamente la nostra storia. A Vico Equense non è mai stato fatto niente, eppure ci sono storie incredibili da far emergere. Storie come quella di Franca Scaramellino, classe 1909. Quando si aprirono i cancelli del campo di concentramento tedesco, in cui era entrata nel 1944, sì è ritrovata sola. Franca Scaramellino scampò alla morte durante la deportazione per il suo impegno antifascista, ma il dolore le ha segnato il resto della vita. Marito e moglie entrambi della provincia di Napoli, lui Camillo Renzi di Mugnano e commissario di Ps ad Aosta, lei di Vico Equense, furono arrestati in Valle d'Aosta per il sostegno dato ai partigiani. Separati dai nazisti, li ha riuniti la decisione del presidente Mattarella di conferire la medaglia al valore civile all'insegnante e al marito. A Franca Scaramellino è dedicata la sezione Anpi della Penisola sorrentina. Mai come in questo momento servono testimonianze come quella di Franca Scaramellino, o quella di Antonino Miniero, originario di Sant’Agnello ma cresciuto a Massaquano, insignito della medaglia d'onore alla memoria nel 2021.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale presta servizio in marina. In occasione dell'armistizio, l'8 settembre del 43, si trova a Pola, in Istria, ed è lì arrestato dai tedeschi e, poi, internato in un campo di lavoro vicino alla città di Erfurt, in Germania. Resta prigioniero per due anni. Dal 12 settembre del 1943 fino al 16 settembre del 1945, liberato dai russi. "Della prigionia e di quegli anni non parlava quasi mai – ricordano le figlie, Luisa e Maria Miniero - forse per proteggerci dalle atrocità. che aveva visto e vissuto. Quando trasmettevano in TV qualche documentario o filmato sul tema cambiava canale. È stato sempre molto sobrio. Ci ha riferito solo qualche frammento di vita vissuta da internato. Come il ricordo della doccia, nudi, tra la neve a prima mattina. La lotta per la sopravvivenza, combattuta recuperando patate nei campi. L’infezione provocata dal tifo, nascosta ai carcerieri su consiglio di un commilitone: "se glielo dici invece di portarti da un medico ti mandano nel forno crematorio". E poi il ritorno avventuroso a casa "una volta liberati, nessuno si curò del trasferimento di questi militari. Mio padre raggiunse l'Italia con mezzi di fortuna, arrampicandosi sui treni merci, camminando per centinaia di chilometri. Quando arrivò a casa, lui, alto quasi due metri, pesava 50 chili e la mamma fece fatica a riconoscerlo. Per quello che ha visto e patito non gli abbiamo sentito pronunciare mai una sola parola d'odio o di recriminazione. E’ questo il testimone ideale che ci ha consegnato. Ha avuto sei figli e ci ha educati all'etica del sacrificio e del rispetto".
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