In occasione del trentennale della morte del pittore Antonio Asturi, ripropongo quest’ articolo di Filomena Baratto pubblicato su questo Blog il 19 luglio 2015
Vico Equense - Qualche volta da bambina mi trovavo davanti alla bottega di Asturi, quando si scendeva a Vico per commissioni, e guardavo all’interno come si guarda un tabernacolo della Madonna, con riverenza, timore per tutta quella bellezza alle tele. C’era un’aria di mistero e sentivo di non essere all’altezza nemmeno di capire il significato dei soggetti sparsi da ogni parte. Ho respirato per la prima volta l’odore degli oli e della trementina, ho osservato le tele che ai miei occhi di bambina piacevano perché con un tratto decisivo racchiudevano velocemente una figura, un paesaggio… Sarà stato lì che la voglia di dipingere mi avrà preso seriamente. Antonio Asturi è stato un grande pittore la cui storia è rimasta per me un mistero fino a quando sostenni l’esame di Arte medievale e quello di Critica d’arte all’università. Quei dipinti visti da piccola mi tornarono alla mente e cominciai a studiarne lo stile, a conoscere l’uomo e poi il pittore. Pur non facendo parte del programma d’esame, sentii il dovere di informarmi. Scattò in me una voglia di conoscere tutto di lui, dalla vita alla pittura, al suo pensiero. Un giorno, un ragazzo di un corso diverso, si mise a raccontare la sua storia e a sentire i miei luoghi non potetti esimermi dal dire che anch’io ero di quel posto. E allora feci loro la mia bella lezione, tutte cose che avevo studiato per non farmi cogliere impreparata. Tutto quello che dissi sul maestro lasciò i compagni piacevolmente sorpresi, tanto che da allora passai per “’Asturina”.
La cosa mi divertì molto ma mi diede una bella lezione: non potevo permettermi di non conoscere un grande pittore come Asturi oltretutto del mio stesso luogo natio. Ma oggi mi chiedo: “Cosa ci cambia conoscere o meno Asturi ?” “Qual è il valore dell’arte, della pittura, in questo caso?” La pittura come la musica, la poesia sono arti che covano dentro come semi e non bisogna fare altro che coltivarli. Una pennellata su di una tela può rappresentare infinite cose per chi vede, può significare il suo mondo interiore, anche solo una piccola parte, un pezzettino di se stesso. Quella rappresentazione può indicarci qualcosa, esprimere un ricordo, un desiderio, un’ammirazione. In ogni caso ci riempirà di gioia, una gioia che non potrebbe manifestarsi in un altro modo. L’arte aiuta a vivere e a codificare il mondo, ad esprimerci profondamente e a sentire in modo universale le cose. Il motivo per cui l’arte è importante è proprio questo: dice qualcosa di inequivocabile a tutti. E conoscere l’arte attraverso i vari pittori è vedere sempre cose del mondo nuove, proprio perché gli aspetti sono molteplici e ciascuno vede il mondo da una posizione personalissima. Il nome Asturi ha il sapore di essere ispanico, dei Pirenei come ci riporta Isidoro da Siviglia nelle sue Etimologie e questo mi piace molto per essere anche il mio cognome proveniente dalla stessa terra. E’ il pittore dal tratto veloce, pochi colori ma intensi, dallo chiudere in una massa senza fronzoli un concetto, un soggetto. Colori mai d’impatto, i suoi sono i colori ocra, le terre, i chiari. E’ un disegnatore preciso, dalle maternità profuse, dai paesaggi della penisola, dalle famose carrozzelle dipinte a più riprese. La sua pittura è precisa nei concetti che vuole esprimere dove egli stesso si fa soggetto riportando alla luce stati d’animo. Porta fuori delle verità senza attenersi ad alcuna scuola né tantomeno quella napoletana come vorremmo che fosse. E’ una pittura ricca ed espressiva che se proprio dovessimo ascriverla a qualche scuola potremmo dire seicentesca e forse prima ancora a quella cinquecentesca con riferimenti a Caravaggio, o forse Rubens, Rembrandt. Ma sicuramente travalica ogni barocchismo, poichè non vuole delimitazioni e si comprende solo conoscendo l’uomo. E’ un’isolata figura dalle masse sintetiche, dai pochi colori concentrati. Dalla tela fuoriesce la poetica espressione del suo mondo priva di intellettualismi e, sebbene autodidatta, diventa proprio così importante per essere istintiva, per riuscire in pochi tratti a dare forza alle figure. Nella sua pittura non ci sono evoluzioni, l’unica potenza è quella della bravura del suo pennello con cui diventa fatti e situazioni. Se prendiamo ad esempio alcune delle sue tele come “Interno di una chiesa” o “Convento di San Francesco” vediamo come col pennello egli suggerisce, accenna, non definisce e qui è la modernità della sua mano. In “Scugnizzi” la massa centrale delle figure, pur nella loro stretta vicinanza, ben rappresenta il mondo di ciascuno e nell’insieme si evince la separazione di uno dall’altro pur appartenendo al tutto. Asturi fece la sua esperienza futurista, ma fu solo un momento di passaggio, in cui non si perse. Ricordò egli stesso l’esperienza di dipingere Benedetto Croce il cui sforzo fu volto a riprenderne il pensiero. Credeva che la profondità e l’intelligenza dovessero trasparire dal dipinto, ma dall’esperienza si rese conto che la genialità e la demenza si somigliano nel modo in cui vengono espresse. Alla fine trovò in una vena della tempia dello scrittore il motivo per far emergere una caratteristica fondamentale per descrivere la grandezza dell’uomo. Egli non programma sulla tela, ma si lascia trasportare dal soggetto, lo esplica come uno spadaccino fa con la sua spada. Sulla tela vanno guardati i tratti interni. Il suo, uno stile inconfondibile, con un soggetto che dice verità e con segni essenziali. I canoni sono quelli dell’espressionismo in modo parsimonioso. L’importanza di Asturi è tutta nel “sentire” e non nel “vedere”. Respinge ogni descrizione estetizzante, affermando che la differenza tra il fotografo e il pittore è che la natura dev’essere captata fuori dallo stretto contatto con la realtà. Per Asturi la meta del pittore è il vero.
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