martedì 19 giugno 2018

Il cuore è uno zingaro

di Filomena Baratto

Vico Equense - E’ questo il titolo di una canzone del 1971 cantata da Nicola Di Bari a Canzonissima. Ero una bambina quando sentivo questa canzone e ne feci un ritornello, il mio, che cantavo a tutte le ore:“Che colpa ne ho, se il cuore è uno zingaro e va? Catene non ha, il cuore è uno zingaro e va .“E per lungo tempo ha costituito la ninna nanna dei miei figli che si addormentavano al primo giro di parole. Rapportiamo la parola zingaro a un girovago, senza sede, senza niente, libero, indipendente, proprio come l’amore. Le nostre conoscenze con gli zingari si limitano a questo: gente fastidiosa che chiede l’elemosina, sporca, ladra che attraversa le nostre città. Nella loro lingua, il romanes, Rom significa “Uomo”. I Rom sono un popolo sparso per il mondo che si concentra soprattutto in tre distinte aree dell’Europa: Romania, Balcani e Area Occidentale. Provengono dalla valle dell’Indo, tra India e Pakistan da dove si spostarono nell’VIII sec. in seguito alle conquiste dell’impero Romano d’Oriente al tempo di Costantino Copronimo. Parlavano il “praclito”, un idioma volgare afferente al sancrito. Tra loro molti erano esperti nella lavorazione dei metalli, conoscenza che li faceva chiamare athinganoi,”intoccabili” da cui il termine zingaro. Lentamente si spostarono dalla loro sede d’origine raggiungendo l’Occidente. Si sparsero in Europa passando per l’Africa settentrionale. Essi prendevano le usanze dei paesi in cui si stabilivano. Il primo gruppo sparso per i Balcani era formato da artigiani, contadini, costruttori e venditori di strumenti musicali e di cavalli.
 
Il secondo gruppo si stabilì in Romania, schiavi alle dipendenze di principi. Potevano esercitare lavori artigianali svolgendo soprattutto quelli itineranti da cui l’arte circense. Abolita la schiavitù, nel Medioevo si trovarono sparsi e in condizioni di povertà. La restante parte di Rom si riversa per l’Europa. In Italia vivono in campi che li raccolgono, di solito lontano dai centri cittadini. Vivono di espedienti, pur attenendosi alle attività di cui sono capaci. Quelli che non hanno dimora fissa ma continuano nelle loro attività itineranti o nomadi per sostenersi, sono quelli giunti attraverso le vie del pellegrinaggio. Sempre al seguito dei signori che li portavano con loro, chiedevano di poter espiare la loro colpa di apostasia, definendosi cristiani e giungendo dalla via egiziana. Molti nomi che oggi li contraddistinguono come gitani o gipsy derivano proprio dall’essersi definiti egiziani cristiani. I Rom vivono circoscritti ma non sono mancate le persecuzioni nei loro confronti, sia durante la rivoluzione industriale che durante il Fascismo. Come gli Ebrei subirono dure repressioni. Tra loro ci sono anche molti che si sono affermati grazie alle attività circensi. A piccoli gruppi sono ben tollerati e cercano di non creare situazioni per cui possano essere allontanati dai luoghi dove si sono fermati. L’animo Rom non accetta le gerarchie e non ama tenere un capo. C’è molta libertà tra loro in un ordine orizzontale più che verticale. Al loro interno dirimono le questioni affidandosi ai più anziani, mentre quelle più spinose sono affrontate dal Krìs, una sorta di autorità massima a cui si affidano e che risolve le questioni sempre in termini di ammende da pagare. La famiglia è l’elemento fondante, molto legati tra loro i vari componenti. I figli si sentono sempre legati ai genitori anche in età avanzata. Le loro attività sono costituite dall’artigianato in cui si mostrano esperti, ma per il resto sfruttano il territorio in cui sono ospiti con accattonaggio, furto, arti divinatorie. Oggi i Rom in Italia hanno una presenza soprattutto in Campania, Lazio, Calabria e Lombardia, Abruzzo, Molise di cui metà con nazionalità italiana e la maggior parte con sede stabilita. La più grande comunità vive in Abruzzo. Accanto ai Rom che arrivano dalla Grecia e Albania, si aggiungono i Sinti, di provenienza mitteleuropea. Questi ultimi vivono nelle regioni del nord e svolgono attività circensi, e in parte giostrai. Nel Meridione troviamo i Rom che vivono in baraccopoli a Mandrione, Nuova Ostia nel Lazio. Ci sono poi i Rom Lovari allevatori di cavalli, i Kalderasa, artigiani del rame che vivono in roulotte. Ancora ci sono i musicanti e gli artisti di strada che vivono in accampamenti nel Lazio. A Firenze c’è la comunità Sufi, musulmana, proveniente dai Balcani. In Val Venosta ci sono i Carner si muovono con i carri, mentre a Noto, in Sicilia ci sono i Camminanti venditori ambulanti di ceci abbrustoliti e palloncini. Altri provengono dalla Francia, sono algerini, i Kaulja, musulmani. I nuovi arrivati sono musulmani e ortodossi dell’est. Oggi ce li troviamo per strada, sul pianerottolo, ai parchi e il pregiudizio ci ha abituati alla nostra indifferenza nei loro confronti. E’ gente che vive in situazioni precarie. Quando li incontriamo sulla nostra strada siamo infastiditi credendo di avere giornate molto più importanti delle loro, e che chiedere l’elemosina sia un ripiego a un lavoro che potrebbero cercarsi. Ma chi darà mai un lavoro a un nomade? Uno stato di diritto si fa carico anche dell’indigente che sia esso italiano o Rom o altro. Più che censimento serve una collocazione, una legge che dica come agire nei confronti di uomini alla ricerca di una sede, un lavoro e una vita dignitosa. Ma a volte gli indigenti possono essere dei capri espiatori di una società distratta. Si dovrebbe conoscere la loro cultura per poter interagire e capire che per esempio alla morte di un parente sono soliti bruciare le sue cose per non creare dissapori tra gli eredi. E così danno fuoco alla sua abitazione. Sono proprio le loro abitudini, usi e costumi a svegliarci e farci accorgere che convivono con noi. Conoscere il proprio simile e vicino è un dovere. Comprendere aiuta a trovare soluzioni per la buona convivenza. Il pregiudizio su cui si fonda ogni tipo di conoscenza è che la minoranza è sempre sinonimo di anormalità, così come la maggioranza di normalità. Un popolo che arriva da tanto lontano, con una cultura differente dalla nostra, con arti a noi sconosciute, non può che arricchirci se solo sapessimo avvalerci di tale privilegio. Molti compositori hanno usufruito della cultura gitana, che ha nella musica la vera anima, per integrare i loro ritmi nelle loro sinfonie risultando oggi tra le più apprezzate composizioni. Le contaminazioni sono notevoli in molti ambiti ma quello che attira di più è questo spirito libero di chi va alla continua ricerca di nuova vita nella sua essenza più vera. Il più grande pregio dei Romani, conquistatori del mondo, fu di dare cittadinanza a tutti i popoli conquistati, elemento caratterizzante del loro Impero e ad ogni cittadino il suo stato giuridico, la propria identità. Se non fosse stato così avremmo distinto un Seneca o un Marziale spagnolo, da un Ausonio francese e un Sant’Agostino nordafricano così come il conferenziere itinerante Apuleio, e non come cittadini Romani. Eppure sono inseriti nella nostra storia latina e nessuno obietta. Discriminare è allontanare e aver paura, fomentare e covare attriti, integrare è conoscere per capire e avvicinarsi. Le paure nascono dalle differenze e diversità. Secondo uno studio di E.N.Chavarria, molti cognomi del popolo nomade appartengono oggi alla nostra antroponomastica, segno della lunga convivenza con un’etnia della quale sappiamo ancora molto poco. Ma più che temere un popolo che convive sul nostro territorio da secoli, dovrebbe preoccuparci la criminalità italiana, di gran lunga più minacciosa. Nel volgere lo sguardo all’ipotetico nemico di turno, perdiamo di vista quello in casa a cui ci siamo assuefatti tanto da non combatterlo nemmeno più. Andrebbe valutato alla stessa stregua dello straniero, volendo essere ineccepibili e non approssimativi in termini di assetto territoriale in ordine di sicurezza per i cittadini. Anche in questo caso il “cuore è uno zingaro” e va dove lo porta l’onda del consenso più che della necessità.

Nessun commento: