di Luciano Pignataro da Il MattinoAlfonso laccarino, grande chef
che ha aperto una strada e grande tifoso del Napoli da sempre. Ha memoria delle prime due vittorie con Maradona e il terzo titolo assume un significato particolare. “Sono due contesti storici
completamente diversi. A causa
del terremoto del 1980 quel decennio fu molto duro per Napoli
e la Campania, quasi quanto il
Dopoguerra anche se non c’era il
problema della fame. Maradona
incantò tutti e ci regalò qualcosa
che nessuno osava sperare. Questo scudetto invece arriva in una
città in crescita, che guarda con
ottimismo al futuro, che ha superato meglio di molte altre realtà i
due anni del Covid e, al di là del
merito dei giocatori sul campo, è
dovuto alla capacità di Aurelio
De Laurentis.”
Molti in effetti hanno ricordato
le contestazioni della scorsa
estate da parte di una fetta di
tifosi azzurri. “Conosco bene De Laurentiis
anche sul piano personale.
Ognuno ha il suo carattere, ma e
sui fatti che bisogna giudicare.
Vero che in estate potevano
esserci grandi dubbi, ma
nascevano da anni giocati
sempre da protagonisti,
in cui lo scudetto avremmo potuto
vincerlo: le squadre costruite da
questo presidente sono sempre
state competitive. Alla luce di
quello che sta emergendo
dalle inchieste su certi club, possiamo
dire che quella del Napoli è stata
una gestione sana, con la testa
sulle spalle, senza colpi di testa
finanziari pericolosi.”
E i fatti hanno dato ragione al
presidente proprio in quello
che poteva sembrare un anno
in salita. “Si perché il presidente ha
dimostrato di saper fare una cosa
meglio di tutti: scegliersi
collaboratori più adatti per
raggiungere lo scopo. E il risultato finale è oggettivo, non
opinabile, non affidato a episodi
controversi come è avvenuto per
altri scudetti: il distacco dei punti
con la seconda, la vittoria
anticipata di cinque giornate
sono numeri, fatti. E in
Champions siamo stati solo
sfortunati."
Lo scudetto al Napoli è uno
scudetto anche per Napoli?
“Più che per Napoli, è uno
scudetto per l'essere napoletano
in tutto in mondo. Noi abbiamo
locali in Usa, in Canada, a Macas,
in Marocco e ovunque ci sono
stati festeggiamenti. A New York
ho saputo che un pezzo di strada
vogliono dedicarla al Napoli
Calcio, lì dove si sono trovati
centinaia di tifosi azzurri ogni
settimana in questa stagione.
Siamo una comunità
importante, il nostro dialetto e al
77 posto tra le centinaia di
lingue parlate in tutto il mondo.
Siamo arte, siamo cultura, siamo
stile nel vestire e nel mangiare.”
A festeggiare sono gli
emigranti, o c’è qualcos'altro?
“lo ho notato una cosa: c'erano
tanti giovani a festeggiare.
Quando vincemmo i primi due
scudetti difficilmente i giovani
tifavano Napoli, tenevano, anche
in Campania, per le squadre del
Nord. Ora questo paradosso e
cancellato grazie al fatto che
sono parecchi anni ormai che il
Napoli ci fa sognare e vedere un
grande calcio in campo. Questa è
una differenza fondamentale
rispetto al passato. C’è un senso
di appartenenza anche
calcistico, come è giusto che sia.
Prima il Sud era rappresentato,
nel mondo del calcio, solo dal
giocatori meridionali che
comprava Agnelli. La differenza
la fa anche il fatto che non siamo
finiti in mano a un fondo, che
abbiamo una gestione privata e
questo è un elemento identitario
che da forza in un mondo
abituato a contare solo con gli
algoritmi, a un profitto
senz'anima."
Ma perché uno scudetto al
Napoli diventa argomento di
discussione su Napoli, dando il
via a tesi sociologiche a metà
fra luoghi comuni e brillanti
intuizioni? “Perchè noi siamo, tra le grandi
comunità dell'Occidente, quella
meno omologata e quindi più
difficile da decifrare. E lo si vede
proprio, per tornare al mio
mestiere, da come mangiamo: con l'olio d’oliva e con la gioia, con la cultura in testa, la musica
nel cuore e il bello negli occhi. E
questi non sono luoghi comuni,
perché fanno la differenza
nell'affrontare ogni giorno i
problemi della vita. In una
parola: da noi nessuno è mai
solo”.
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