di Filomena Baratto
In questo periodo, chi abita alle falde di un monte, si ricorderà di quando andava a raccogliere le castagne. Ero bambina quando a casa si diceva: ”Oggi andiamo a prendere due castagne.” Oggi, stava per dire nel pomeriggio e due castagne per intendere almeno un cesto colmo per farci due infornate. L’immagine più ricorrente nella mente è di quando si arrivava al castagneto, subito dopo l’ultimo tornante della strada per Faito, con la macchina ancora in moto, scivolavo nel prato a raccoglierle e in un baleno ne riempivo un contenitore. Molte erano ancora nei ricci, chiuse ermeticamente, altre si affacciavano dal manto di spine appena scostato e ci si pungeva a volerlo forzare. E con la scusa di avere le mani ormai fuori uso, mi sedevo nell’erba umida e mi guardavo intorno. I miei raccoglievano con lena e quando trovavano un frutto più grande del solito, lo alzavano al cospetto degli altri a mo’ di trofeo. Non mancava, durante la raccolta, il confabulare di nonna e mamma che elencavano le pietanze o i dolci che ne avrebbero fatto. Mentre si confrontavano, io guardavo la buccia liscia, perfetta, di un marrone intenso, con quel ciuffetto all’estremità, a forma di codino, con cui tirarlo fuori dal riccio, quell’insopportabile involucro esterno. Nonostante pungessero, ne infilavo una rivestita di aculei con alcune foglie in tasca per i miei disegni dal vero. Era bello sentire, mentre sedevo nel prato, una castagna cadermi addosso, rompendo il silenzio, per poi posarsi tra le altre. Si riempivano i cesti fino a quando non ce la facevamo più a stare chini nel terreno e le mani non chiedevano pietà.
La raccolta non durava mai più di un’ora, poi si andava a bere alla fonte, più su, ad ammirare il panorama prima di ritirarci. A casa se ne distribuivano un po’ anche agli altri. Di solito si mangiavano arrostite, poste su un fuoco ben avviato che il nonno preparava per tempo e dove le sistemava con cura. Restava lì fino a fine cottura per assicurarsi che non si bruciassero. Appena ce n’era una pronta, il nonno la tirava via, la puliva e me la dava. Io aspettavo paziente e la dividevo in tre parti: un pezzetto a me e due ai miei cani. Ogni castagna, stessa suddivisione. Una volta cotte, si raccoglievano in un cesto per consumarle a cena, ma spesso si tiravano dal fuoco per mangiarle calde. Le bucce ritornavano alla brace. Qualche riccio lo mettevo in bellavista sul tavolo e lo osservavo prima di rappresentarlo sul foglio e infine cominciavo con la mia sfilza di domande, come un botanico consumato. Devo dire che, più di tutte, mi piacevano le castagne delle feste: ben cotte, morbide, con un profumo particolare. A ogni festa di paese e nelle zone vicine, il nonno usciva a comprarmele. Si ritirava poi con questo sacchetto sonante, come i campanacci delle mucche, e me lo porgeva come fosse un pegno pagato. Le mangiavo insieme con loro e i miei cani. E già mi prenotavo per riaverle alla successiva festa. Questo rito è finito da un pezzo. Oggi ci sono mille modi di cuocere le castagne ma nessuno, tra quelli provati finora, mi rende la castagna di allora. Esiste una sorta di gabbia elettrica girevole in cui metterle e dove rotolano senza sosta, cuocendo senza bruciare; o al forno con le temperature combinate, o in contenitori che posti sul fuoco vogliono simulare la cottura di quelle arrostite una volta. E chi vuoi che vada a raccoglierle, sempre che si possa ancora farlo. Quando le vedo dal fruttivendolo, con le faccine sbiadite, una accanto all’altra, tipo scolarette nei banchi, senza i loro gusci dispettosi, un po’ stropicciate, ripenso allora e mi pongo mille domande: sono fresche, trattate, sono nostrane, arrivano dalla fine del mondo? Vuoi mettere le castagne raccolte con le proprie mani, pregustarle già dal profumo, e poi l’acquolina in bocca al pensiero di un dolce, di un marron glacè, di una cioccolata alle castagne… Restano le feste a voler custodire i ricordi, tra gusto ed emozioni. La castagna è diventata protagonista anche a scuola, col digramma gn e l’autunno. Quanti temi si sviluppano a scuola a parlare dei frutti autunnali, rendendo le castagne protagoniste di questa stagione, anche in ambito poetico: “Le castagne sono la pace/ del focolare. Cose d’altri tempi./ Crepitare di vecchi legni,/pellegrini smarriti (F.G.Lorca). E poi canzoni: “Mangiamo pane e castagne, come una poesia, perduta nella memoria dai tempi di scuola. Domani ce lo diranno, cosa vorranno che sia, ce lo diranno domani, prima di andare via."(F. De Gregori, Pane e castagne). “Nessuna città può gareggiare con Napoli nell’arrostire le castagne” diceva Marziale, poeta romano (40-104 d.C.). Ma non c’è niente di più poetico delle caldarroste incontrate nelle fiabe e nelle storie, dove l’uomo, col suo bidone di brace su cui le cuoce, è posto al centro di una piazza in pieno inverno, magari in prossimità del Natale, in attesa di riscaldare il cuore delle persone. Il calore e l’abbondanza sono i simboli della castagna, frutto conosciuto e apprezzato ovunque.
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