Il rincaro dei generi alimentari, dell’energia e delle materie prime ha colpito quasi tutti i settori nei paesi dell’Unione Europea e non solo in questi.
Le conseguenze sul potere d’acquisto nonché sul tenore di vita dei cittadini e delle famiglie sono evidentemente pesanti, se pensiamo che anche la condizione retributiva per i lavoratori peggiora di pari passo, come mette in luce una ricerca della Fondazione Di Vittorio.
In particolare, da questa si evince che il salario medio annuo lordo dei lavoratori italiani a tempo pieno, nel 2021, con 29.400 euro, non solo è inferiore dello 0,6% rispetto al periodo pre-pandemia, ma risulta uno tra i più bassi in Europa, secondo solo a quello dei dipendenti spagnoli, che ammonta a 27.400 euro medi lordi. Francia e Germania mostrano un quadro migliore, rispettivamente con 40.100 e con 44.500 euro. La discrepanza è notevole se si confrontano le condizioni dei lavoratori italiani con quelle dei paesi sopra elencati, in confronto ai quali essi ricevono paghe annuali più basse del 27% rispetto ai francesi e del -34 % rispetto ai tedeschi. Questo è dovuto soprattutto alla minore qualificazione professionale e, soprattutto, alla molto più forte precarietà della forza lavoro occupata nel nostro Paese.
La congiuntura attuale si ripercuote sulle scelte di consumo dei cittadini (specialmente di coloro che hanno dei figli a carico), i quali stanno adottando atteggiamenti sempre più improntati al risparmio e alla prudenza, ma non per virtù previdenziali, bensì a causa delle aspettative negative che nutrono sul prossimo futuro.
Infatti, è tendenza diffusa il ridimensionamento degli acquisti di beni e servizi non di prima necessità: il 60% della spesa è attualmente destinato a soddisfare bisogni essenziali. Alla luce di tali tendenze l’O.N.F – Osservatorio Nazionale Federconsumatori ha condotto un monitoraggio dei prezzi di un paniere standard di prodotti primari nei supermercati italiani, spagnoli, francesi e tedeschi, per analizzare l’impatto delle dinamiche inflazionistiche sui redditi netti nei diversi paesi. La Germania, in base alla ricerca effettuata, risulta la nazione in cui fare la spesa è più dispendioso (con una media di 131,43 euro), seguita da Francia (104,65 euro), Italia (93,72 euro) e Spagna (88,85 euro). Sebbene queste cifre sembrino seguire un andamento proporzionato a quello dei salari, in realtà è differente l’incidenza percentuale che la spesa-base alimentare, ipoteticamente sostenuta una volta alla settimana per dodici mesi, ha sul totale del salario medio annuo netto dei quattro paesi indicati: secondo gli studi dell’O.N.F., l’impatto più significativo si registra proprio nel nostro Paese. In Italia, infatti, la spesa alimentare incide sul reddito netto annuo per il 20,19%; segue la Spagna, con un impatto del 19,88%, quindi la Germania, con un impatto del 19,51%, e infine la Francia, con un’incidenza del 16,03%. Sono dati che evidenziano come gli incrementi su tali consumi indispensabili abbiano un impatto più marcato sui redditi meno elevati. Questo rende quanto mai necessaria e urgente l’adozione di misure di sostegno dei redditi delle famiglie, specialmente quelle meno abbienti, quali, da un lato, una riforma delle aliquote IVA e delle accise e oneri generali di sistema in bolletta, dall’altro, una riduzione del cuneo fiscale sulle retribuzioni, allo studio del Governo, insieme con il potenziamento degli interventi sociali, dall’ampliamento delle soglie Isee di accesso alle prestazioni fino all’incremento del loro valore economico. “Si tratta di misure indispensabili per contrastare il progressivo aumento dei numeri già preoccupanti della povertà nel nostro Paese, ma anche per scongiurare il rischio, oggi dietro l’angolo, che la crisi delle famiglie e la contrazione dei consumi inneschino una spirale negativa di riduzione delle produzioni e delle attività che porterebbe a conseguenze drammatiche sul fronte dell’occupazione. E per disinnescare tale concreta minaccia è necessario intervenire ora”, afferma Michele Carrus, Presidente di Federconsumatori.
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