venerdì 25 agosto 2023

Spiagge affidate in concessione via chi si sente il proprietario

di Antonio Menna Il Mattino

Bisognerà che a un certo punto si dica una parola chiara su un punto che sta diventando cruciale: di chi sono le spiagge? La cronaca, ormai, racconta un episodio di malcostume al giorno. Lidi che impediscono ai bagnanti di portare cibo e bevande da casa per costringerli a comprarli da loro. Lidi che fittano attrezzature a peso d'oro, benché i loro canoni siano irrisori. Lidi che non consentono il passaggio a chi vuole andare sulla battigia o vuole solo entrare in mare (che fino a prova contraria è bene di tutti). Lidi che impediscono l'uso di una toilette a chi viene dalla spiaggia libera. Insomma, un vero e proprio esercizio della proprietà privata, a volte anche con toni predatori e inutilmente aggressivi, su quello che, però, è un bene demaniale, quindi di tutti, e affidato temporaneamente, con una concessione, a un privato perché se ne curi, fornisca servizi, ne tragga un lucro senza, però, svuotare del senso pubblico il bene stesso (altrimenti lo Stato glielo avrebbe venduto e non concesso). Gli ultimi episodi arrivano dalla zona flegrea che, negli anni forse anche più della costiera e certamente più della città di Napoli -, ha consolidato una sua forte attrattività sulla risorsa mare, soprattutto tra i più giovani, dentro un binomio efficace giorno/notte, con lidi attrezzati che la sera ripiegano gli ombrelloni e si trasformano in locali disco per aperitivi e musica live. Doppio guadagno e raddoppia anche l'altezzosità, quel senso di "roba mia" che appare del tutto improprio, con dei veri e propri abusi. Il sindaco di Bacoli non ha mancato, anche nell'ultimo episodio dell'accesso negato alla toilette di un lido a una bagnante della spiaggia libera (fino a che non si è sentita male), di far sentire la sua voce. Il primo cittadino, con parole dure e chiare, ha fatto sapere che ha diffidato il concessionario. Lo stesso sindaco disse parole di riprovazione quando i lidi vietavano ai clienti di portare da casa perfino l'acqua minerale. Diffida, denuncia.

  

Ma mai si arriva alla revoca della concessione, che sarebbe il solo atto da compiere di fronte a un uso di bene pubblico non solo con fini privati ma anche con atteggiamento da padrone. Bisogna ricordare, con i fatti, però, non più con le diffide, che mare, spiaggia, arenili sono di tutti. E che anche quando vengono concessi temporaneamente a un privato, non smettono il loro abito pubblico. La concessione ha una finalità di miglioramento, dentro una collaborazione pubblico/privato. Non certo di un diritto di proprietà. E i servizi stessi che quel lido allestisce e cura diventano pubblici, diventano a disposizione della collettività. Anche a questo risponde il livello irrisorio dei canoni. Non solo all'incapacità della mano pubblica di aggiornare perfino i propri incassi ma anche al mantenimento di una vocazione collettiva. Se per la tua spiaggia in concessione paghi poche migliaia di euro l'anno, incassando anche venti volte tanto, è perché su quello spazio devi mantenere livelli di accessibilità, nelle tariffe e nei servizi, e anche una capacità di rapporto con l'utenza che deve avere memoria dell'esercizio di una impresa su un bene di tutti. Questo spirito si è chiaramente smarrito. I concessionari considerano le spiagge come un loro bene. Fissano regole stringenti e punitive, massimizzano il lucro. Emerge la necessità di un'azione più decisa, che riporti la questione ai termini reali. Questo è tanto più necessario in Campania. Qui, infatti, non c'è neppure quel diritto di scelta tra lido attrezzato e spiaggia libera che esiste in alcune regioni. La Campania, infatti, secondo l'ultimo rapporto di Legambiente, ha solo il 20% di spiagge libere record negativo nazionale -, peraltro distribuito in modo non uniforme. Il restante 80% è concesso ai privati, che se ne fanno un uso privatistico, negano di fatto mare e spiagge alle persone, che vengono sostanzialmente private di un loro sacrosanto diritto.

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